venerdì 4 luglio 2008

Tuscania

Fuggirono a Tuscania, perla, o anfora preziosa, dell’Etruria meridionale. La vista di Tuscania con le sue mura, e la vista da Tuscania, del paesaggio intorno, la campagna intatta, gli avanzi del castello sul colle Rivellino, un tempo congiunto dalla linea continua delle mura, e le grandi chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore, sono entrambe incantevoli. Guardando questo paesaggio che si andava spegnendo nella sera cenarono in un ristorantino nei pressi delle mura.
Il cortile-atrio dell’albergo era addobbato con un tentaggio a strisce verticali bianche e rosse che formava la cupola del tetto e le pareti. Poteva richiamare la tomba dipinta di Tarquinia, quella “del cacciatore” – perché le tombe dipinte di Tarquinia avevano il soffitto dipinto come un tappeto, che doveva evocare la tenda dove si svolgevano le cerimonie funebri - così come un arredo medievale. Quanto di etrusco, del resto, era travasato nel nostro medioevo, nelle decorazioni, negli strani animali che popolano le chiese romaniche, palazzi e fontane ornamentali? Anche le carni rigorosamente alla brace di questo stomaco interno della Tuscia, esibito da tutti i ristoranti della zona, è un filo, abbrustolito, che rimanda agli etruschi.
Questo si dissero nel chiacchiericcio che accompagnò la loro salita in stanza. E quando finalmente chiusero gli occhi per addormentarsi, quando le immagini che più ci hanno colpito in una giornata all’aria aperta tornano prepotentemente sulla nostra retina, Cristina vide sovrapporsi all’immagine del compagno quella dei cavalieri con le armature luccicanti al sole, le piume degli elmi e i mantelli colorati, caracollare sui loro cavalli nella discesa del monte Rivellino, lasciandosi alle spalle le mura merlate che sebbene diroccate, abitavano ancora. Nel sogno di Daniele invece era probabile che si materializzasse uno di quei casolari da lui scelti a propria dimora ideale.
Al museo di Tuscania, la mattina dopo, mentre riposavano seduti nel chiostro, dopo la visita alla città, elegante e tranquilla, anche se nulla di paragonabile all’antico splendore, s’accorsero di avere un altro compagno nella loro strada. La sede del museo da poco risistemata era stato un convento francescano e alzando gli occhi alle pareti del chiostro Daniele e Cristina riconobbero nelle parti rimaste degli affreschi, nel bianco della recente dipintura, la città di Tuscania e le immagini del grande santo medievale che, come lessero poi, qui aveva compiuto dei miracoli. Non c’era borgo visitato dove mancasse una chiesa, e spesso la più importante, a lui dedicata.
- Siamo in buona compagnia – si dissero.
Il museo era di recentissima sistemazione. L’entrata era gratuita ma v’incontrarono solo un altro visitatore. Al piano terra li accolsero i sarcofagi di Tuscania, i più antichi in pietra di nenfro, simili, ma meno importanti, a quelli di Tarquinia, dalla cui influenza discendeva Tuscania, con un corredo di oggetti in bronzo, recuperato perché era stato un bottino dimenticato nei pressi delle tombe.
I più recenti sarcofagi di terracotta, caratteristici di Tuscania, sono collocati nelle ultime sale al piano di sopra. In questo piano c’e un materiale più vario e didattico. Tavole illustrative, fotografie, modellini di tombe e i corredi di esse ritrovati nelle diverse necropoli che circondano la città.
Dal periodo iniziale, orientalizzante la storia etrusca passa, nella sistemazione degli storici, all’età arcaica e poi a quella classica ed ellenistica. La parabola degli etruschi si conclude con la parola romanizzazione. Ci furono delle battaglie. Veio distrutta nel 396. La vittoria di Tarquinia, che sacrificò più di trecento prigionieri romani, nel 358. La vittoria di Roma su Tarquinia nel 351. La battaglia di Sentino, nel 295, fu l’inizio della fine. L’anno dopo cadeva Roselle, più a nord nella maremma toscana. Diverse città etrusche ora acquiescenti ora alleate con Roma. Un’altra battaglia tra Orte e Bomarzo, al lago Vadimone nel 283. Un trionfo su Volsinii e Vulci nel 280, Cere piegata nel 273. Infine quando Volsinii, cioè Orvieto, pensò bene di chiamare in aiuto i Romani contro le rivolte servili ne fu distrutta nel 265, Falerii nel 241. I Romani che toglievano metà delle terre alle città etrusche e vi fondavano le loro nuove colonie. Quelle terre, i confini su cui era nata la nazione etrusca, che erano state il principale oggetto tutelato dai riti, dalle cerimonie, dalla cosiddetta discipina etrusca. Perugia abbattuta da Augusto.
Al piano superiore del museo di Tuscania i corredi delle tombe erano esposti secondo le diverse fasi della storia etrusca:
- Perché cominci da qui?
- Leggevo. C’è scritto “Età arcaica”
- L’Orientalizzante è laggiù, l’Ellenismo, di quà.
- Tu invece vai di quà e di là.
- Ti sei innervosito?
C’era, nel settore dell’orientalizzante, il modellino ricostruito di una tomba che era una bellissima casa con le colonne davanti e tre porte, ma naturalmente una sola era vera. Cristina e Daniele si fecero attenti, di nuovo uniti e solidali. Sul tetto la statua di un piccolo animale, sembrava una scimmietta. E c’erano le lastre fittili - di terracotta cioè – un tempo colorate ed ora scolorite, poste sotto il tetto, che avevano adornato i loro templi dei vivi così come le loro tombe a forma di templi. Che cosa era riprodotto nelle lastre delle città dei morti? Scene di banchetti eterni, effiggiati per l’eternità. Daniele e Cristina riconobbero i banchettanti sdraiati sui letti, e sotto i letti vi erano costantemente dei bassi tavolini e cani o servi a loro volta sdraiati. Tra i letti i servi che recavano anfore per le libagioni o strumenti musicali. Altre scene riproducevano file di danzatori che pestavano i piedi, con gambe e braccia fortemente contorti rispetto al busto, e anche le mani.
- Questi banchetti ci rappresentano la volontà di rappresentarsi del mondo etrusco, dei suoi ricchi signori, quando esso era più se stesso. Quando era giovane, nella crescita e nella fase maggiore della sua ricchezza e potenza.
- Prima che si diffondessero i miti e le divinità antropomorfiche greche.
- Prima che decadessero.
- E tutte quelle anfore, e soprattutto coppe e bicchieri, perché potessero banchettare anche da morti. E i mobiletti per riporre e appendere “cicchere e bicchier”.
Arrivarono infine presso i sarcofagi di terracotta.
Questi sarcofagi di terracotta, tarda produzione delle fabbriche di Tuscania, erano lavorati in tre parti che poi venivano ricomposte, la parte corrispondente all’estremita inferiore del corpo appiattita, poco lavorata, mentre nella testa, inserita per ultima, l’artigiano imprimeva al volto i caratteri del defunto, ne faceva dunque il ritratto, secondo una tendenza comune a tutta l’Etruria nelle fasi conclusive della sua civiltà, da cui si vede poi derivare la ritrattistica romana.
- Dal banchetto funebre, ai ritratti dei sarcofagi di terracotta, c’è un percorso che dobbiamo ricostruire – sentenziò Cristina.

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