venerdì 4 luglio 2008

A Civita Castellana, incrociando la carrozza di Goethe

Sul ponte Clementino di Civita Castellana uscirono nuovamente da se stessi per contemplare uniti il pauroso, vertiginoso e nello stesso tempo sublime, verticalismo dell’incisione tufacea. Avevano quasi litigato per trovarlo, immersi nel centro cittadino, Daniele voleva lasciar perdere e lei s’era incaponita.
Al castello, il forte Sangallo, ammirato dall’esterno, non era stato possibile sottrarsi all’ombra di Goethe che aveva scritto:

“Bellissima la vista dal castello: il monte Soratte, una massa calcarea che probabilmente fa parte della catena appenninica, si erge solitario e pittoresco”

Così aveva annotato nel suo "Viaggio in Italia", alle otto di sera del 28 ottobre 1786. Diretto a Roma, già fantasticando sulla sua meta, Goethe si era trovato a passare per l’antica Falerii e alla fine della giornata, aveva scritto quella pagina che Cristina, la sera prima della partenza con Daniele, aveva ritrovato. Viaggiando in carrozza, Goethe impareggiabilmente analizzava il paesaggio che gli si apriva alla vista così come il terreno sotto le ruote:

“ Si sale lungo le pendici di un monte che si direbbe di lava grigia; vi si trovano parecchi cristalli bianchi granatiformi. La strada che dal termine della salita conduce a Civita Castellana è della medesima pietra, resa ben liscia dal passaggio delle ruote.”

Di passaggio nel Lazio vulcanico, ne aveva colto rapidamente l’essenza:

“ Le zone vulcaniche sono molto più basse degli Appennini, e solo i corsi d’acqua, scorrendo impetuosi, le hanno incise creando rilievi e dirupi in forme stupendamente plastiche, roccioni a precipizio e un paesaggio tutto discontinuità e fratture.”

Cristina e Daniele invece si allontanavano dalla grande città, dal suo tessuto continuo, come quello della quotidianità, disponibili alla discontinuità e alle fratture non solo del paesaggio che affrontavano ma anche del tempo e dello spazio, nella dimensione del viaggio.

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