sabato 5 luglio 2008

Il lungo corteo dell'addio

Il signore o la signora, di questa società aristocratica, non sono più a banchetto con intorno a loro una moltitudine di servi che servono le libagioni, musici e danzatori, ma sono costantemente accompagnati, da dèmoni, il maschile Charun, con il grande martello e la femminile Vanth con in mano una fiaccola. Il martello che evoca miniere, pozzi e nani tolkeniani, serve ad aprire la porta dell’al di là, sempre rappresentata nelle tombe dipinte di Tarquinia, ma anche il colpo mortale; la fiaccola a fare luce nel cammino. Il corteo è lungo, con una schiera di servitori che portavano oggetti che illustrano il prestigio del defunto e c’è n’è sempre uno con una cassetta sulle spalle. Ancora, il signore etrusco fa il suo viaggio al meglio, con tutta la sua rappresentanza, sul carro principesco. A volte il carro è coperto, e allora il corteo può sembrare quello di un popolo migrante. Fece questo effetto a D. H. Lawrence quando vide questi cortei scolpiti nei cinerari del museo di Volterra.
All’ultimo piano del museo di Tarquinia sono state ricostruite quattro tombe dipinte, i cui affreschi, poiché si stavano deteriorando, sono stati staccati e posti qui su pannelli, nei primi anni Sessanta. Sono proprio tra le tombe che piacquero di più a Lawrence, quando le visitò “in situ” nel 1927. Tra le più antiche, tra sesto e quinto secolo, non ancora influenzate dalla maniera greca. Cristina e Daniele si accontentarono di vedere queste tombe dipinte, poiché in precedenza avevano entrambi già visitato la necropoli di Monterozzi.
Queste tombe, che fecero esaltare allo scrittore inglese la vitalità e la festosità degli Etruschi, ci danno effettivamente un’altra temperie del mondo etrusco se confrontate con i lunghi cortei dell’addio. Il fondo giallo crema delle pareti, che Lawrence considerava così adatto alle pareti domestiche, i colori vivaci e accesi, il contorno morbido del disegno. Questo prevalere del contorno, forse preservatosi come eredità nel disegno fiorentino, la caratteristica piattezza della pittura etrusca, perciò giudicata inferiore a quella greca, maestra dell’organicità e del chiaroscuro, sono ulteriori prove che gli etruschi facevano sempre le cose a modo loro.
All’ultimo piano i famosi cavalli di Tarquinia, frammento della decorazione di terracotta che ornava il grande Tempio dell’Ara della Regina, posti un tempo a un’estremità del triangolo del timpano. Erano colorati e si vede ancora che uno era nero e l’altro rosso. Anche nella scelta dei colori era celata una simbologia. Gli uomini avevano la pelle rossa, le donne erano invece chiare. Le cortigiane avevano la parrucca bionda.
Nel ristorante, alla grande tavolata, accanto a loro, solo uomini che forse festeggiavamo un cantiere che si chiudeva. L’accento era settentrionale. Si parlava di Ferrari e di motociclette, mentre ci si apprestava a demolire enormi grigliate. In fondo un richiamo all’Etruria padana.
- Ma questo viaggio nell’al di là? Dicono che, in comune con gli egizi, in queste antiche religioni, la tomba a somiglianza della casa, con tutti gli oggetti che al morto erano serviti da vivo, avessero la funzione in qualche modo di preservarne l’individualità, e di acquietarlo. Allora tu che ne dici?
- Non dobbiamo dimenticare che questi signori etruschi erano ricchi possidenti terrieri e commercianti, guerrieri e dominatori di mari. Penso che nell’al di là volessero presentarsi al meglio.
- Come dire, far vedere chi erano anche a chi stava nell’al di là?
- Pressappoco.
- Ci può stare. E nello stesso tempo ricordarlo a che rimaneva, ai vivi! Perché è vero che le tombe venivano chiuse con tutti i loro ricchi corredi, e così ai morti non mancava nulla per banchettare, ma le strade e le piazze delle città dei morti dovevano popolarsi in occasione di feste e ricorrenze. La posizione stessa delle necropoli, spesso di fronte alle città dei vivi, quasi a gareggiare con loro.

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