Con il
magistrato Paolo Borsellino morirono i cinque della sua scorta, quattro uomini
e una donna, Agostino
Catalano, Emanuela Loi, Eddie Valter Cosina, Vincenzo Fabio Li Muli e Claudio
Traina.
Com’era accaduto
in via Fani, quattordici anni prima, nel sequestro di Aldo Moro, dove furono
uccisi i cinque uomini della scorta e il presidente della democrazia cristiana
cinquantacinque giorni dopo. Le
brigate rosse, che rivendicarono il sequestro, proposero uno scambio di
prigionieri, ci fu tra i politici chi tentò la strada della trattiva, ed era in
gioco la vita di un uomo, ma si disse che lo Stato non poteva trattare con
criminali e terroristi e la trattativa resa pubblica si arrestò.
Dopo i precedenti quattro processi con
condanne all’ergastolo, le indagini sulla strage di via d’Amelio sono state
riaperte dalla procura di Caltanisetta nel 2008. I quattro processi precedenti
erano stati i seguenti: Borsellino I, bis e ter, con sentenza di Cassazione nel
2003, e processo per le stragi di Capaci e via d’Amelio, dovuto alla riunione
nel 2003 dello stralcio del Borsellino ter con una parte del procedimento per
la strage di Capaci, quest’ultimo con sentenza di Cassazione del 2008. Essi
erano stati basati sulle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino.
Nel 2008 si è fatto avanti Gaspare
Spatuzza che ha dato la sua versione dei fatti di via d’Amelio, smentendo Scarantino. E’ partita perciò
una nuova inchiesta, alle dichiarazioni di Spatuzza si sono aggiunte quelle di
Fabio Tranchina e nell’Ottobre del 2011 la procura di Caltanisetta ha chiesto e
ottenuto dalla corte d’appello di Catania la sospensione della pena per otto
condannati nel primo e nel secondo processo Borsellino e a marzo di quest’anno
la custodia cautelare per quattro nuovi imputati. Alla base della nuova
indagine ci sono da dimostrare da parte dei magistrati, da un lato, depistaggi,
falsi pentiti e ricostruzioni manipolate nell’indagine precedente e,
dall’altro, il movente della strage: l’essere venuto a conoscenza da parte di
Borsellino di una trattiva tra Stato e mafia.
Ricordiamo che l'anno seguente le stragi di Capaci e via d'Amelio, il 1993, fu l’anno
delle stragi a Firenze, in via dei Gergofili, a Roma,
alle chiese di S. Giorgio al Velabro e di S. Giovanni in Laterano, e a Milano,
in via Palestro. Di queste stragi fu attribuita la responsabilità alla mafia,
come risposta all’applicazione dell’articolo 41bis che prevedeva il carcere duro
e l’isolamento per i detenuti mafiosi.
Da ultimo, proprio a ridosso di questo
anniversario, ci sono le polemiche che oppongono il Quirinale alla procura di
Palermo: l’ex ministro dell’Interno, in carica nel 1992 e fino al 1994, Nicola
Mancino, sarebbe indagato dalla
procura di Palermo proprio in merito alla presunta trattativa tra Stato e
mafia, e perciò sottoposto ad intercettazione telefonica. Mancino, avendo
telefonato al capo dello Stato, l’ha perciò coinvolto nell’intercettazione
telefonica.
Da qui le discussioni sulla non
intercettabilità del capo dello Stato e su un conflitto di poteri apertosi tra
procura di Palermo e Quirinale.
A noi cittadini compete l’intuizione che
la verità e la tutela della democrazia non possono essere separate, che non si può
aggirare la verità e la sua ricerca. Non c’è nessuna ragion di Stato che possa
accampare diritti maggiori della democrazia e della sua ricerca della verità
mentre proprio in questo nodo, nelle stragi non risolte, è la sostanza della
nostra democrazia limitata. Ci sono
persone, come coloro che ricordiamo oggi, che hanno dato la loro vita per
questo e a loro lo Stato e i cittadini
devono la verità quale che essa sia. Solo così avremo più democrazia e
libertà.