martedì 3 aprile 2012

Gli etruschi e il loro uso dei miti greci

Visita al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma.
 Tra le tante meraviglie  due in particolare avevo interesse di vedere. 
L'una, proveniente da Pirgy, il gruppo di terracotta ispirato al mito dei Sette contro Tebe, soggetto di una tragedia di Eschilo, per il ricordo di una gita a quello che fu uno dei porti di Cere, il cui santuario era noto nell’antichità per le ricchezze che custodiva. La visita al luogo, fatta già da diversi anni, così suggestiva camminando in processione per arrivarvi lungo la spiaggia appresso Santa Severa in un pomeriggio estivo, aveva lasciato il desiderio di vedere l’altorilievo  che ci era stato illustrato dalla nostra guida  nell’Antiquarium di Pirgy di fronte ad una riproduzione. 
L'altra meraviglia, dell’antica Veio, le statue pure di terracotta che erano acroteri collocati sulla linea di colmo del tetto del tempio di Portonaccio, Ercole e Apollo, Mercurio, Latona che tiene in braccio Apollo bambino, mentre altre forse ve ne erano che sono state perdute. Per queste l’interesse era stato mosso dalle fotografie sui libri e averle viste a Villa Giulia ora, recentemente ripresentate al pubblico nel gennaio scorso,  dopo un lungo restauro iniziato negli anni novanta  e con una nuova collocazione  nella sala 40, l’ultima prima dell’uscita, è stata un'esperienza sorprendente. Tutte le lacune nel corpo delle statue sono state colmate ove possibile  e alle parti ricostruite è stata data una colorazione diversa per farle riconoscere rispetto alle originali. Su tutte è stata stesa poi una verniciatura con una nuova tecnica, mirabile per i risultati, che ottiene un effetto di omogeneità che permette all’occhio di cogliere le statue nella loro completezza e organicità. Si legge sul sito online  che illustra il progetto di restauro: "Grazie alla tecnica del “puntinato”, con lunghissime operazioni sono state applicate numerose e successive velature di colori acrilici eseguite per mezzo di minuscoli puntini, realizzati con l’ausilio di piccoli spazzolini, al fine di assicurare l’uniformità cromatica con le parti originali e garantire l’assoluta riconoscibilità delle parti non originali, in linea con la Teoria del restauro di Cesare Brandi."
Lo stesso trattamento dev’essere  stato applicato, almeno in parte, anche all’altorilievo dei Sette contro Tebe, esposto nella sala 13b dedicata a Pirgy, come si deduce se lo si confronta per come appare  ora con le immagini sui libri.

Le statue di Veio sono le più antiche, prodotte intorno al 510 a.C. Un pannello  esplicativo ci suggerisce che nell'Ercole si raffiguri simbolicamente la potenza tirannide che governava Veio e costruì questo tempio. Il mito che le statue sul tetto del tempio mettevano in scena, una delle fatiche di Ercole, non è tra i più noti e diffusi in Grecia, ma è l'unico in cui sono protagonisti l'eroe e Apollo, che sicuramente era una delle divinità cui era dedicato il santuario, e dove il primo diciamo che ci fa più bella figura. La scena rappresentata infatti ci mostra che il dio va incontro ad Ercole, che è detto ringhiante o rabbioso per aver avuto la meglio nel catturare la cerva di Diana con le corna d'oro che tiene per le zampe legate sotto di sè. Fra loro doveva essere Mercurio,  di cui ci rimane solo la bellissima testa, a testimonianza che gli dei accettano la vittoria dell'eroe su Apollo. Dunque, altro che cultura provinciale, quella di questi etruschi della fine del sesto secolo: spulciano tra i miti greci quello più adatto per edificare e celebrare se stessi, potenti come Ercole davanti al quale una divinità come Apollo deve cedere per volere di Zeus.


Ancora più forte e drammatico il messaggio che trapela dalla rappresentazione ispirata al mito dei Sette contro Tebe, nell'altorilievo del tempio A di Pirgy, realizzato poco prima della metà del V secolo (460 a.C.).
Nell'altorilievo si compongono due scene distinte:  in alto e indietro, Capaneo, il primo dei  sette re che assediano Tebe che prova a scalarne le mura,  viene fulminato da Giove;  in basso e in avanti l'episodio di Tideo e Melanippo. Melanippo è tebano ed è ucciso da un altro dei sette re aggressori, Tideo, che però resta a sua volta ferito a morte. Minerva sopraggiunge per salvarlo col nettare d'ambrosia, come ha ottenuto da Zeus, ma rimane inorridita alla vista di Tideo che si nutre del cervello di Melanippo.
Anche in questo caso il mito è stato scelto per edificare i visitatori del santuario sulla potenza etrusca che gode della protezione divina. Basta assimilare gli etruschi ai tebani e gli eventuali aggressori ai Sette che attaccano Tebe e il monito è chiaro: guai a chi ci attaccasse perchè neanche la protezione di una dea come Minerva li salverà perchè Giove è con noi. Inoltre siccome la storia inizia con la discordia tra i due fratelli figli d'Edipo, nella scelta del mito può essere celato un ulteriore monito agli etruschi stessi, che combattono gli uni contro gli altri.


 Ci tornano allora in mente gli affreschi della tomba Francois a Vulci. Anche in questa tomba ritroviamo un'espressione notevole dell'uso politico e propagandistico  dei miti greci da parte degli etruschi. Questi affreschi a suo tempo staccati dalle pareti della tomba che fu della famiglia dei Saties sono stati qualche tempo fa, nel 2004, riportati a Vulci per essere esposti nel cortile del castello dell'Abbadia in una mostra dal significativo titolo di "Eroi etruschi e miti greci". Siamo nel tardo IV secolo, nel 357 a.C.  c'è stata la guerra tra Tarquinia e Roma e trecento prigionieri romani sono stati uccisi nel foro di Tarquinia. Nella tomba vengono dipinti a fronteggiarsi  due cicli di affreschi, da un lato l'uccisione dei prigionieri troiani da parte di Achille, e dall'altra la saga di Mastarna e dei fratelli Vibenna, in un complesso gioco di rimandi tra personaggi eroici e mitologici, tra  tempi antichi e avvenimenti attuali, ma quello che ancora una volta emerge qui a Vulci come a Pirgy e a Veio è il significato di monito drammatico che attraverso i miti greci si vuole trasmettere. Così i prigionieri troiani ritualmente uccisi devono alludere ai romani in realtà massacrati a Tarquinia e si sottintende l'equivalenza tra etruschi-greci vincitori sui romani -troiani perdenti.


In conclusione, la cultura etrusca non risulta affatto provinciale o satellite di quella greca ma si mostra invece altamente cosciente della propria identità e capace di selezionare e piegare alle proprie esigenze gli elementi attinti dal mondo greco, come fa per i miti.


Un altro spunto di riflessione potrebbe essere: quanto di questa capacità degli etruschi di comunicazione sociale e politica attraverso il mito figurato non sia trapassato nella pittura medievale con i suoi cicli religiosi  edificanti, dove pure la figurazione ha un ruolo sia educativo sia di monito.

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