lunedì 27 luglio 2009

In alto mare e sull'appennino

Può essere che in alto mare ci stiamo sempre, la vita come un arrancare, anche se nei bei momenti ci pare di stare adagiati su una riva sopra la sabbia soffice.
Può essere che i momenti decisivi in cui è importante fare delle scelte ce l’inventiamo noi oppure è proprio così: in ogni momento si potrebbe cambiare la storia.
Fatto sta che nel nostro Paese invece si radicano situazioni che nei decenni che passano sembrano non cambiare mai. La diseguaglianza tra Nord e Sud e la stagnazione sociale sempre più marcate anche prima della crisi economica sopraggiunta sono l’espressione più evidente dell’anomalia italiana. Ci sono paesi come la Spagna e il Portogallo che molto più tardi di noi si sono liberati dalla dittatura eppure oggi mostrano che il taglio è stato netto e la loro democrazia è molto più fluida della nostra: questo spiega, a pensarci bene, come essi siano tra i più interessati ai casi e agli scandali della politica italiana.

Ci sono ragioni storiche dall’Unità d’Italia alla Guerra Fredda e alla Seconda Repubblica che ci raccontano sempre dello stesso patto scellerato: del sud venduto e comprato come riserva d’arretratezza, di reazione e di voti. Il copione non è mai cambiato.

Ma così in realtà tutta l’Italia è stata venduta e comprata, mai veramente libera e democratica: a Palermo in fondo come a Roma, Torino, Milano, Venezia, Padova o Ferrara, tanto per nominare qualche città, perché nessuno è rimasto indenne; nessuno di noi, se riflettiamo bene, è stato e può veramente dirsi libero e democratico in questo Paese.

I problemi del sud, la questione meridionale, non possono essere scissi con il federalismo fiscale o la creazione di un partito del sud o addirittura un’autonomia del sud che del resto, come i commentatori più avvertiti hanno già rilevato, sono iniziative che nascono dal gioco delle parti; ad esempio è tipico della mafia minacciare l’autonomismo che vuol dire “non vi diamo più i voti”.

La questione meridionale grava perciò sulla nostra storia comune, che è quella che ci ha portato fin qui e quindi, se siamo consapevoli, sulle nostre coscienze. Se nessun uomo è un’isola su questa penisola nessuno può sentirsi autorizzato a chiudersi in un regionalismo autocrate ed egoista pensando di averne diritto, insomma con la coscienza a posto.

Su questo prima di tutto dovrebbero meditare anche i democratici semplicemente o davvero - ma davvero? - del Pd, che hanno tagliato fuori la piazza ma stanno a litigare se allearsi o meno con l’Udc di Casini, quasi scordandosi dell’opposizione, il loro primo dovere.

Se continuiamo a stare in alto mare, sull’appennino le cose sembrano non andare meglio. Nulla, nemmeno una pietra, è stato smosso dal centro storico de l’Aquila perché lo spettacolo del terremoto fosse gustato appieno dagli attori-spettatori del G8.
A un’amica appena ritornata dall’Abruzzo ho chiesto come si presenta la città. Mi ha risposto che non si può entrare, è tutto transennato, solo si può visitare il Castello. Ha aggiunto che vi sono Comuni danneggiati che però non sono stati inseriti nel piano di risanameno e quindi dovrebbero fare tutto a loro spese.
L’Aquila non è Firenze che sotto i danni dell’alluvione commosse e ottenne l’aiuto del mondo intero. Le case per gli aquilani terremotati le stanno costruendo altrove – dove? –. Che ne sarà allora del suo centro storico?
“Non vi saranno nuove tasse” ha detto il premier – che pure deve molto agli aquilani per la riuscita dell’intrattenimento – quando il problema sono ancora le vecchie di tasse che stavano per essere ripristinate ma per le proteste sono state, è notizia dell’ultima ora, rimandate.

sabato 18 luglio 2009

La questione meridionale si riaccende: il divario tra Nord e Sud aumenta con la crisi

E’stato pubblicato il rapporto 2009 della Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno che ha suscitato la sollecitazione del Presidente Napolitano: - Le istituzioni facciano di più.

Si legge tra l’altro in questo documento, scaricabile da Internet:

“In base a valutazioni SVIMEZ nel 2008 il Pil ha segnato nel
Mezzogiorno -1,1%. Ormai da sette anni consecutivi il Sud cresce meno del Centro-
Nord, cosa che non è mai successa dal dopoguerra a oggi.”

“Caso unico in Europa, l’Italia continua a presentarsi come un Paese
spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo
interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. Le campagne meridionali si
spopolano, ma non a vantaggio delle vicine aree urbane.
I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati.
Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la
principale spinta all’emigrazione.
Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno.”

Il mezzogiorno d’Italia prende come area sottosviluppata fondi dall’Europa. Il governo italiano da parte sua ha tagliato i fondi che a sua volta vi destina. Si legge nello Svimez:

“I tagli al Fas –Il finanziamento delle misure anti crisi economica in Italia è stato
garantito spostando su quest’obiettivo risorse già presenti nel bilancio alle quali era
stata data inizialmente una diversa finalità. In particolare ricorrendo a quelle
destinate alle aree meridionali attraverso il Fondo Aree Sotto Utilizzate, che sono
state spostate su obiettivi oggi considerati prioritari per rilanciare l’economia, dalle
grandi opere pubbliche, perché i cantieri hanno una funzione anticiclica, agli interventi
per attutire l’impatto della perdita di posti di lavoro.”

La conclusione è che questa redistribuzione dei fondi per il mezzogiorno di fatto favorisce il centro-nord già più ricco:

“Cosa dice la Svimez – Con i decreti anticrisi, una percentuale significativa delle risorse
FAS è stata stanziata su altri fondi. L’area meridionale si trova pertanto a competere,
in termini di capacità di assorbimento, con le aree a più alto tasso di sviluppo del Paese
che riescono ad attivare una più efficiente programmazione di spesa e più elevati livelli
di progettualità.

Emerge con evidenza, una configurazione di “non neutralità” delle crisi che rischia di
dare luogo ad una tendenza alla redistribuzione delle risorse a favore delle aree più
forti che potrebbe perdurare anche oltre la fase congiunturale.”

Insomma quello che abbiamo già osservato in altre occasioni, che con la crisi i ricchi tendono a diventare più ricchi e i poveri sempre più poveri, vale quanto mai nel rapporto tra nord e sud del Paese. E ancora dobbiamo vedere gli effetti del federalismo fiscale da applicare, una legge appoggiata anche a sinistra! Mi chiedo come si possa accettare una tale legge avendo una così vasta area del paese in tali condizioni economiche, riconosciute dall’Europa che ci dà per esse cospicui finanziamenti.
Dopo essere stati rintronati dalla questione settentrionale dei ricchi del nordest e del nordovest sarà molto più serio tornare alla questione meridionale.


Incisione di Domenico Faro

La questione meridionale s’è posta fin dall’inizio, con l’unificazione del Paese, stante il divario economico e sociale tra il nord e il sud che si riunivano. E subito ci fu Bronte, e poi ci sarebbe stato Portella della Ginestra: le proteste contadine, le forme di associazione sindacale represse nel sangue. Il meridione, la Sicilia in particolare, poteva ben restare arretrato, funzionale al nord che s’industrializzava: “ ottimo mercato dei prodotti industriali e nello stesso tempo una preziosa riserva della reazione italiana” – osservava Leonardo Sciascia. In questo disegno la mafia si è infine sostituita ai baroni nel patto scellerato che ha condannato il nostro mezzogiorno, ramificandosi però anche fuori di esso; epigoni ‘ndrangheta e camorra. A mio avviso non è pensabile che i meridionali possano da soli liberarsi dal morso della criminalità organizzata che oggi è il principale ostacolo al loro sviluppo economico. E’ tutto il Paese ormai che va bonificato. Per questo penso che le iniziative delle Liste Civiche e di Parlamento Pulito che sono venute in mente a Beppe Grillo e su cui insiste anche Antonio di Pietro siano buone per cominciare dal basso a rinnovare il Paese e con esso il meridione.

mercoledì 15 luglio 2009

La piazza e il partito: la candidatura di Beppe Grillo nel Pd


Forse solo una provocazione ma nell’insieme, con le reazioni suscitate, prende il sapore dell’apologo, che so la favola dei grillini e dei vecchi elefanti.
C’è il vecchio partito, pardon il nuovo partito, nato in conclusione dalla mera riunione di ds e margherita, con le sue vecchie cariatidi e telamoni ma anche con il suo saldo apparato organizzativo che però nelle ultime vicende elettorali ha saputo solo imboccare la via della perdita costante di voti. Grillo rappresenta la piazza come è già stato a Piazza Navona, quella piazza temuta e mai amata, diversa da quella orchestrata nell’ultima veltroniana manifestazione al Circo Massimo: questa è spontanea, irrequieta, perciò disorganizzata, ma non è vero che non sappia ciò che vuole. E’ una piazza moderna, responsabile, informata e consapevole. Su questo contrasto, proprio tra Grillo e il Pd, tra la piazza e il partito, forse si sta giocando una partita importante per il futuro e la democrazia del nostro Paese. Come non pensare che se accordo ci fosse si potrebbe raccogliere una marea di voti da sommergere anche il più amato dagli italiani? E che questa prospettiva non solletica affatto cariatidi e telamoni che hanno più a cuore il loro proprio futuro?
La piazza ha una programma concreto in quattro o cinque punti: se ne potrebbe discutere, e aggiungerne qualche altro. Il partito si definisce riformista ma poi programmi concreti i suoi candidati attuali non riescono a sfornarne e pensano soprattutto alle alleanze in Italia e in Europa, queste sì per loro sono cose fondamentali. Perché il loro riformismo prevede riforme da attuarsi chissà quando e i benefici derivanti ancor dopo.
Dicono che nel Pd manchi un Obama: appunto l’Obama di oggi mostra di saper coniugare idee ed ideali con provvedimenti concreti e adatti per il momento di crisi ma è una lezione che cariatidi e telamoni non sanno apprendere. Ecco perché hanno bisogno della piazza, che ricordi loro le esigenze concrete, attuali e perciò vivissime del Paese.

mercoledì 8 luglio 2009

Viareggio, L'Aquila, Italia e Michael Jackson

Conosco i luoghi, la Versilia, Massa, Carrara e la Lucchesia. Lo stadio di Viareggio ieri mattina era foderato da un cielo azzurro, i pini svettavano e sul verde del campo, in primo piano, i colori dei fiori posti sulle bare. Anche così, in questa cornice luminosa, guardando la diretta televisiva il dolore si percepiva, ti arrivava dentro. Storie familiari troncate lungo vie cittadine troppo vicine ai treni. Il carrello assassino che deraglia, per quali cause non ancora accertato. Un’Italia sbagliata che paga in vittime innocenti, colte ancora una volta in quella che dovrebbe essere la serenità quotidiana nel farsi della notte.
Uno striscione – l’ha ripetuto il vescovo nella sua omelia – diceva: Viareggio risorgerai più bella.
Intanto all’Aquila aspettano ancora, hanno fatto una fiaccolata, per alludere che nel centro storico colpito non c’è ancora luce elettrica - nemmeno provvisoria?! -. Si sono invece velocemente realizzati i lavori per accogliere il G8: un servizio del primo canale rai, che ha preceduto la diretta da Viareggio, mostrava le ultime pennellate di vernice date in fretta. Si chiedeva ai cittadini, quelli rimasti perché, raccontava il cronista, molti per l’occasione, se ne erano andati - cosa si aspettavano dall’evento: che i potenti si accorgessero di loro e facessero qualche cosa.
C’è pure chi confida negli stranieri per liberarsi del premier, che una bella spallata gli venga da questo G8. Mi viene in mente il Manzoni, quello dell’Adelchi: in quella cornice storica la domanda era se i Franchi sarebbe venuti in Italia a combattere i Longobardi solo per fare un piacere a noi.
L’Italia che non si riconosce nei sondaggi favorevoli esibiti al posto del governare ringrazia la stampa estera – vediamo se succederà davvero qualche cosa - ma dovrebbe pure trovare in se stessa la forza per contrastare l’attuale leadership. Per provarsi a ricostruire un’Italia che sostituisca finalmente quella sbagliata che non rispetta le regole, che miete vittime ignare.
Da Viareggio a Los Angeles, da Andrea Bocelli a Stevie Wonder il canto che ha commosso e accompagnato il commiato. Michael un eroe globale, planetario. Rivedendo i suoi video più famosi su You Tube emerge un messaggio chiaro, universale, una specie di procedimento alchemico il suo, di trasformare ciò che è basso e gravoso, in energia positiva - come l’opera al nero in oro - : così per le nostre paure come in Thriller, così per la violenza sciolta nel ritmo della danza come in Bad, così per uscire da noi stessi e superare, spiazzandola, l’aggressività altrui come in Beat it.
Ecco, abbiamo bisogno di queste idee universali per attingervi e migliorare la nostra creatività, per contribuire a migliorare il nostro Paese.

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