venerdì 4 settembre 2009

Enciclopedia del ricordare: Vent'anni dopo



“Gli riapparve la propria giovinezza, portando con sé tutti quei soavi ricordi che sono piuttosto sensazioni che pensieri. Da quel passato al presente c’era un abisso. Ma la fantasia ha il volo dell’angelo e del baleno: essa varca i mari nei quali abbiamo corso il rischio di naufragare, le tenebre dove si sono perdute le nostre illusioni, gli abissi che hanno inghiottito la nostra felicità.
[…] Nel ricordare tutto ciò che aveva sofferto, egli previde quel che avrebbe potuto soffrire Raoul…”


Sono riflessioni che Dumas non può che affidare ad Athos, il più fine e nobile dei suoi moschettieri, apposte sempre con il tratto veloce e leggero della sua scrittura e nello stesso tempo potentemente efficaci nel fermare elementi caratteristici del ricordare.
Così, per un verso, il seguito de I tre moschettieri può considerarsi un gioco del ricordare e del rivivere, ancor più per quei lettori che, come me, compiono la rilettura circa e più di vent’anni dopo. Ricordare per i lettori, dunque, come pure per l’autore che scrive e, dentro il libro, per i personaggi. Invecchiati, i protagonisti hanno come pudore di lanciarsi sfrenatamente nell’avventura come una volta, più prudente e riflessiva la mente immaginativa di D’Artagnan, le azioni compiute pesano nel ricordo sulla coscienza di Athos, mentre più inossidabili nello spirito si mostrano i due più materialisti per diverso aspetto, Porthos e Aramis. D’altra parte, se il ricordo e la malinconia a tratti riemergono con tante piccole citazioni degli eventi passati, l’avventura e l’intrigo sono comunque inarrestabili nella mente di Dumas ed irresistibili per i lettori.

I moschettieri di Dumas sono stai gli eroi della mia infanzia, letti e riletti di seguito nottate intere. E’ successo allora che sono diventati compagni inseparabili dei miei luoghi preferiti, ho viaggiato con loro e poi, in ogni luogo visitato che mi sia piaciuto, una campagna, una piazza o il cortile di un vecchio palazzo, ecco che ho potuto vederli apparire, a cavallo, in carrozza, inseguiti dalle guardie del cardinale…Mi succede ancor oggi e volevo verificare l’effetto della rilettura su queste mie antiche e radicate impressioni. In Vent’anni dopo i quattro amici continuano a spostarsi moltissimo tra Parigi e Londra, alloggiando in molte locande dai nomi godibilissimi – ma Dickens quanto a nomi di locande è imbattibile -. Strade, piazze, saloni e castelli, puntualmente e, come sempre, brevemente descritti, si susseguono nella lettura ma non ritrovo più la magia d’allora, o meglio quella magia c’è ancora ma resta appannaggio della mia lettura infantile. C’è stato un momento in cui ho ritrovato la stessa atmosfera, nel punto in cui D’Artagnan, in compagnia di Planchet, sta per recarsi da Porthos, seguendo la strada da Villers- Cotterets* a Compiègne, dove si legge:

“Era una bella mattina di primavera, gli uccelli cantavano sui grandi alberi, larghi raggi di sole passavano attraverso gli intrichi dei rami, là dov’erano meno folti, e sembravano tende di velo dorato. In altri punti la luce attraversava appena la fitta volta delle fronde; e i piedi delle vecchie querce, sulle quali riparavano a precipizio, alla vista dei due viaggiatori, gli agili scoiattoli, erano immersi nell’ombra. Da quella campagna al mattino veniva un profumo d’erbe, di fiori e di foglie che rallegrava il cuore. D’Artagnan, stanco del fetore di Parigi…”.

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*E' il luogo dove Alexandre nacque e trascorse l'infanzia.

(continua)

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