mercoledì 31 dicembre 2008

lunedì 22 dicembre 2008

Saga di Natale

Maria è all’opera, intenta alla costruzione del presepio. Siccome sa che ci perderà del tempo come ogni anno vorrebbe rinunciare, sfuggire all’impresa ma poi pensa che è un appuntamento unico, un’occasione da non mancare. Deve immaginare un disegno per tessere la sua tela, inventarsi una geografia perché vuole che sul lungo ripiano della bassa libreria un paesaggio prenda forma e quindi vita. Ci sarà come sempre una città sollevata sulla collina con le mura rotonde e merlate – un semicilindro di cartone colorato di grigio scuro - e la fessura di una porta ad arco. Quest’anno la circonderà di altre costruzioni di cartone che ha fatto da sè, userà per questo tutti i pezzi che possiede, quinte di muri diroccati che aprono verso la campagna.




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Questa mattina la città si è svegliata come da un lungo sonno e brulica di gente in grande attività. Sulla porta che guarda verso la campagna il venditore di salumi ha già piantato il suo banchetto e tiene una povera oca appesa al bordo. Giù nella vallata però è pieno di ochette vive nelle aie e sulle sponde erbose del fiume, tra ciottoli bianchi e grigi. Creste di colline e montagne si sovrappongono a contendersi l’orizzonte chiuso. Signora della vallata è l’acqua che scorre in diversi modi, che accompagna con diverse canzoni: un mormorio sommesso nel fiume ampio che curva dolcemente proprio poco oltre l’acuto ponte medievale, un gorgoglio nei tratti di torrente che scendono dai pendii, appena un sussurro nei laghetti che il fiume impigrito rigirandosi con le sue anse disegna qua e là. Ponticelli rustici come un abbraccio ruvido raccordano le rive opposte e a loro volta sembra che dicano cantando:
- Sì, si può passare, non c’è separazione, qui è tutto in armonia!
L’acqua non si contenta del fiume, vien fuori anche da fonti e fontane che parlottano e sciorinano senza posa in scie argentine le filastrocche e tutte le vecchie storie e gli accadimenti che hanno visto e a loro volta sentito raccontare.






Il pozzo, che sta di fronte alla corte diroccata dai muri rosati che attraversa le acque del fiume e fa con le sue aperture da cannocchiale alla valle, quando il secchio riposa, si compiace di rispecchiare il chiarore del cielo e solo qualche nota sale ogni tanto dalla sua pancia.











Il pastore Ieli è arrivato da molto lontano. Le sue pecore si sono ammalate e sono morte e allora si è messo in viaggio in cerca di fortuna e tutto ciò che possiede sta in quel panno bianco annodato che gli pende da una mano. Questo luogo gli piace, la campagna tranquilla gli darà un po’ di pace, forse troverà qui un lavoro o se no affronterà la città che gli sembra grassa e ricca e proverà così a cambiare la sua vita. Intanto beve l’acqua della fonte di marmo dai riflessi azzurrini incastonata nella roccia sotto le mura della città, ed è come una piccola cappella luccicante in cui entrare, e mangia il suo panino.







La vecchia torre solitaria sta proprio di fronte al ponte rustico basso sull’acqua coi muretti arrotondati, al centro della lunga vallata. L’abita una vecchia solitaria anche lei, che sta sempre sull’aia con la sua conocchia in mano a guardare chi passa sul ponte. Ha avuto figli e nipoti ma tutti alla fine sono partiti.






Vive con i suoi animali e chi passa dal ponte li trova sempre lì nell’aia.





La donna graziosa che viene dalla fontana col tetto di tegole rosse, è vestita d’azzurro e le sue brocche sembrano d’argento.






Forse è la fata turchina, ma ha un figlio e lo ha allevato da sola. In città si mormorò che il padre fosse il poeta dal passato tormentato venuto dall’altra parte delle montagne. Ha sulle spalle uno scialletto grigio e anche se la giornata è ormai quasi trascorsa e sta facendo buio arriverà fino alla capanna poco lontana perché le hanno detto che c’è qualcosa da vedere.




La bimba coi riccioli biondi non vuole andare dalla vecchia con la conocchia nella torre solitaria perché le fa paura e lì sul ponte rustico basso sull’acqua tira la mano della madre per tornare indietro ma la madre non l’accontenterà perché ha sentito delle voci e vuole sapere dalla vecchia con la conocchia che cosa c’è di nuovo nella vallata.








I pastori sono giunti con le loro pecore alla capanna che è costruita dentro la montagna e hanno visto.


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Maria si lascia di sistemare la capanna per ultimo. E’ già pronta, di legno, grande e con i personaggi incollati. In genere la ricopre un po’ con la carta delle montagne per guadagnare spazio e raccordarla col resto del paesaggio, così è una capanna costruita dentro la montagna come certe taverne. La capanna sta fuori della città, anzi in questo presepio che si svolge in lunghezza sulla libreria sta proprio dalla parte opposta: la città e la capanna sono ai due estremi del paesaggio; infatti, pensa Maria, sono anche idealmente in opposizione. Arriva suo figlio, guarda e commenta che, così in fondo com’è messa, la capanna sembra solo il pretesto per la costruzione del paesaggio, proprio come in certi ritratti inglesi succede per il soggetto umano rispetto al paesaggio che lo circonda, e non serve spiegargli che è stata messa lì apposta, ma forse ha ragione lui.
Maria ci riflette un po’ mentre finisce di disporre il muschio e le erbette, ma si distrae perché il muschio le fa ricordare quand’era bambina e il natale si passava insieme con la famiglia dello zio che portava i personaggi di gesso e cartapesta per fare il presepio. Lo si faceva sempre allo stesso modo e nello stesso posto, sul ripiano della Singer che veniva spinta in un angolo contro il muro: sul tavolo era tutta pianura con in fondo la capanna e da un lato la montagna che però era un altopiano perché era fatta di un rialzo creato con un po’ di libri e sulla montagna veniva sempre messo un pupazzetto vestito di marrone scuro con le mani alla bocca che strillava a squarciagola ma nessuno lo sentiva. Per ultimo si andava a cercare il muschio in campagna che ne serviva tanto con tutta quella pianura e l’altopiano, ora invece lo si compra già pronto a pacchi. Maria abita in campagna e il muschio va prenderlo da una fontana scavata nel fianco di un monticello che ora ci hanno costruito una villa col muro di cinta ma nel muro hanno lasciato un’apertura ad arco acuto per la fontana: l’acqua scende dalla parete che è tutta tappezzata di muschio che sembra un presepio!
L’usanza di portare gli abeti in casa e fare addobbi con i suoi rami nel momento in cui con la festa natalizia sopraggiunge l’inverno ha un chiaro valore simbolico: facciamo entrare il verde in casa proprio quando scompare in natura e Maria con il presepio ha trovato il modo di portarsi in casa un paesaggio intero! Un paesaggio atemporale, mitico, fatto della campagna che simbolicamente si oppone alla città, e anche se questa non fu l’ispirazione principale del presepio è innegabile che la sua ambientazione fu un elemento non secondario fin dalla sua prima realizzazione.
Il presepio, del resto, si può ambientare in qualunque luogo ed in qualunque tempo proprio perché è una rappresentazione, come a teatro si può avere la più variata scenografia o quattro tavole nude.


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Assisi è una città ricca. Pur racchiusa nelle sue mura di pietra rosata, sollevata sulla collina, non è isolata: centro di civiltà mercantile, di commerci e quindi di scambi. Il padre di Francesco è stato in Francia e così ha dato questo nome al figlio. Con le sue belle porte da cui discendere verso la campagna, così la guarda da lontano Francesco, dalle sponde del rivo su cui ha alzato le spoglie celle del Tugurio, per dare esempio di povertà. Per Assisi e per il mondo si è spogliato delle sue vesti e dei suoi averi ma la città e il mondo ancora non vogliono intendere. Allora l’ha presa d’assedio. Da San Damiano, dall’Eremo in alto, e giù dalla Porziuncola e qui dal Tugurio la circonda e la scuote con il clamore della sua povertà e della sua preghiera. Vuole piegarla col suo esempio, con la sua imitazione di Cristo, perché ama questa città come ama il mondo e proprio per questo si contrappone loro.
Bisogna andarci in questi luoghi per capire l’assedio che Francesco con i suoi ha posto ad Assisi e al mondo.


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- Te piace o presepio ?
- No.

Maria ripensa al figlio sempre critico di fronte alle sue fatiche presepiali e alla commedia di Eduardo, dove impietosamente e fatalmente la crisi familiare giunge al suo compimento la vigilia di Natale. Luca Cupiello non sa o non vuole riconoscere i segni del disfacimento che sono intorno a lui. Ripone tutta la sua attenzione nelle piccole cose e nei preparativi della festa, la cena di Natale, dove il capitone volerà fuori dalla finestra, e soprattutto il presepio. Il presepio è dunque anche qui un mondo a parte, un eden atemporale in cui cullarsi e trovare riparo, simbolo degli affetti e, pur nei perenni contrasti quotidiani, di quella pace ed unità familiari che nella realtà stanno per frantumarsi e non sarà possibile rincollarne i pezzi come per il presepio.


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La notte è scesa sulla vallata. Cosa c’è di nuovo che nell’aria è tutto un fermento? I pastori dovrebbero essere stanchi e aver già riposto le pecore negli ovili e invece stanno lì a guardare e non si muovono. Le pecore stesse stanno lì anche loro a guardare, un po’ brucano sempre, e sembrano contente di stare in prima fila e si mettono in posa.
C’è una pastora che è rimasta indietro e sta facendo bere la sua pecora da una ciotola, laggiù al piccolo pozzo che sta davanti al casolare rosa sul fiume.



Di là dal casolare vede scintillare l’acqua del fiume che scende dalle montagne, viene avanti quasi diritta lasciandosi alle spalle un piccolo ponte lontano e curva proprio di fronte ai muri rosati, quindi torna indietro verso il fondo della valle, passa sotto il ponte a gobba d’asino e s’inflette ancora a destra in un’ampia ansa misteriosa. Le sembra che tra la macchia folta del bosco e la pietra grigia che riveste l’argine del fiume avanzi un pastore che conosce con una pecora sulle spalle. L’aspetterà e farà la strada con lui perché di colpo ha paura: ha visto scintillare la lama di una spada, forse un soldato romano, tra i cespugli che invadono i muri della villa abbandonata poco distante proprio sotto la città.



Insieme basterà arrivare più avanti al ponte rustico che porta alla torre solitaria per sentirsi più sicuri, rincuorati dalle luci di case sparse, e arrivare in breve alla vecchia capanna dove dice che sia accaduto qualcosa. Faranno attenzione al cammino sull’argine incerto, non più lastricato del fiume, ricco di erbe selvagge, ciottoli sporgenti, fiori seccati e bacche brune, per non cadere in quell’acqua trasparente che a volte quando passa da sola le sembra voglia tirarla giù.

Alla capanna è nato un bambino. E’ questa la notizia. La madre era in viaggio ed è stata colta dalle doglie. Ha trovato una sistemazione nella capanna che ha una stalla annessa e ci sono un bue e un asino che rendono caldo l’ambiente. L’inverno è arrivato nella vallata ma questo bimbo che ha voluto nascere qui potrebbe essere il segno dell’avvio di una rinascita. Per Ieli, per la pastora, la donna con le brocche, perfino per la vecchia con la conocchia nella torre solitaria e per la città grassa chiusa nella cerchia delle sue mura.

sabato 13 dicembre 2008

Appunti da...ricordare


Senza memoria non c’è identità. Il triste caso di chi, per incidente o malattia, si ritrovi con problemi d’amnesia e di relazioni spazio temporali, a non riconoscere più se stesso e a continuamente chiedersi chi è e dove si trova. Strettamente connessa risulta la capacità d’immaginare il futuro. Chi non ricordare le esperienze precedenti non riesce ad immaginare cosa potrebbe fare le prossime vacanze ad esempio, figuriamoci poi pensare un cambiamento di vita.
Possiamo estendere queste considerazioni dall’individuo alla collettività, un popolo, una nazione, noi italiani in particolare che abbiamo notoriamente problemi d’identità nazionale, perché siamo arrivati moolto più tardi della maggior parte degli altri europei all’unità nazionale, per il regionalismo che ci contraddistingue, etc. etc., motivi che a loro volta hanno cause più a monte che risiedono nella nostra storia e nella nostra geografia. Dal punto di vista del ricordare il nostro difetto d’identità può riconnettersi a scarsa memoria collettiva, storica per l’appunto.
Il processo di globalizzazione in atto nel pianeta non aiuta a sostenere l’identità dei singoli popoli. Dal punto di vista del ricordare l’indebolimento dell’identità a sua volta non aiuta la capacità di progettare il futuro, e questo è proprio quello che oggi nel mondo e nel nostro Paese più si denuncia. Nel new world del mondo globale e multietnico la via della comunicazione e dell’integrazione non può essere dunque la rinuncia all’ identità, all’appartenenza, ma deve partire da essa perché in sostanza non possiamo farne a meno: pena di vivere confinati nel presente, di rinunciare al futuro o comunque di rassegnarci ad una percezione spazio temporale confusa.

Marcel Proust e dintorni. Il nostro ricordare è unico, gli stessi eventi sono ricordati in maniera diversa da differenti persone. Quest’unicità avvicina il nostro ricordare ad un’opera d’arte, in quanto attività creatrice della nostra coscienza, della nostra individualità.

Il lato oscuro del ricordare. Barnaby Rudge. Nel romanzo di Dickens abbiamo colto come Barnaby è felice perché non ricorda, circondato da personaggi che non riescono a superare odi e rancori, che non dimenticano. Aggiungiamo però che lo stesso Barnaby nel momento per lui più drammatico, quando è chiuso in cella riesce a trovare consolazione, proprio lui che non ricorda, attraverso un frammento di ricordo, nella sua preghiera mal ricordata e nel frammento dell’inno infantile che cantò e lo cullò nel sonno.

“Il posto delle fragole” di Igmar Bergman. Un vecchio professore sta per ricevere il premio più importante con cui chiudere la sua carriera di scienziato. Il viaggio verso la premiazione è anche un viaggio dentro se stesso per vagliare, fare il bilancio delle sue relazioni umane, che sembra risultare molto meno brillante. Questo viaggio è un ricordare. Ricordi amari, opprimenti e ricordi piacevoli, ancora vitali, come il posto delle fragole. C’è un ricordo che il vecchio sceglie per addormentarsi, con cui affrontare la notte della vita, preso dall’Eden dell’infanzia, un’immagine serena dei genitori. E’ importante questo scegliere, la selezione del ricordo.

Giacomo Leopardi, o come grato occorre il rimembrar delle passate cose ancor che tristi e che l’affanno duri. Il pensiero più spinto sull’efficacia lenitiva del ricordare, nostro conforto al di sopra delle nostre disgrazie. Perché accade questo? Perché il ricordare è la nostra rielaborazione dell’esistenza, la nostra intima riappropriazione del mondo che abbiamo vissuto, è nostro. Leopardi già sottintende Proust, e l’intensità del ricordare del vecchio professore di Bergman.

martedì 2 dicembre 2008

A-mici due
















Di lui rischio di parlare troppo e non voglio, sono cose nostre. Dopo anni di convivenza, amore e odio. Presuntuoso, aggressivo, simulatore infido, tenero, paziente. Quantunque viva confinato in un appartamento anche lui va per la sua strada, e segue nell’andare quei tracciati che sa lui, in genere costeggiando i mobili ed evitando di attraversare le piazze degli spazi vuoti. Chissà perché quando hai qualche momento di tensione e lui passa per la casa con la sua andatura calma e dignitosa a vederlo ti rilassi. E’ ciò che mi piace di più di lui, vederlo passare come uno che va per i fatti suoi anche se sta dentro un appartamento. Ha i suoi luoghi preferiti, ma in realtà controlla tutta la casa e a volte come padrona  non sopporto che se sposto qualcosa debba venire a prenderne visione, che tutti i piani orizzontali, letti, divani, poltrone, tavoli e televisione a rotazione nella giornata li consideri suoi. In effetti sulla gestione della casa a volte siamo in aperto contrasto. Ha i suoi gusti. Gli piacciono i miei centri all’uncinetto sopra cui si sistema, ma questo piace anche a me perché lo trovo il migliore dei soprammobili.
Non è mai voluto veramente uscire dall’appartamento dal giorno in cui è arrivato, cucciolo di sei mesi, ed è corso sul balcone inchiodandosi sulla ringhiera. Spessissimo però fa un giretto per le scale del palazzo e lancia i suoi richiami acuti, poi scende giù al portone chiuso e guarda attraverso il vetro.

lunedì 1 dicembre 2008

A-mici



Un gatto sa sempre il fatto suo, o almeno così ti fa credere quando cammina per la sua strada e quanto a questa sia chiaro che un gatto va dove vuole. E’ un perfetto clochard nel senso che si adatta perfettamente al quartiere, la strada, il cantone in cui sceglie di vivere ma nonostante la sua apparente non curanza è un vigile controllore del suo territorio, anche quando dorme. Così, anche se può non sembrare dal suo portamento fiero e dalla sua sincera bellezza,




la sua è una vita dura e piena d’insidie cui non si sottrae proprio per il suo carattere indagatore.
Lui è un gatto cittadino che vive in un bel giardino del centro. Sta sulle sue e non da tanta confidenza. A volte non lo trovi, chissà dove va, altre compare all’improvviso guardingo, come ora che s’è formato un circolo di piccioni che becchettano le briciole. Chissà dove si ripara quando piove e fa freddo. Forse prima era un gatto d’appartamento. Quante battaglie con altri gatti e le ferite e le malattie. Quando un gatto sta male lo dissimula e va a leccarsi le ferite dove nessuno lo può vedere. Cuore impavido, fronteggia il nemico ma quando capisce che la lotta è impari o la battaglia è persa, decide rapidamente di battere in ritirata. Difficilmente torna indietro dalle sue decisioni, quando una scelta è fatta è quella.
Quanti amori ruvidi, tra soffiate, graffi e piccoli morsi dopo lunghe ore perse dietro a quelle gattine come statue di sale e poi via, non c’è tempo per la famiglia!
Eppure gli piace ancora giocare con quel bastoncino che lo studente sulla panchina gli agita davanti. Forse lui sa meglio di noi che la vita può essere ora dura ora leggera e, sebbene ci sia chi dica che i gatti sono sempre interessati, pensa che un po’ d’amicizia anche gratis possa valere la pena.




(continua)

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