venerdì 21 marzo 2008

Dov'è Primavera



E’ la musica russa, “La grande Pasqua Russa” di Rimsky-Korsakof, “La sagra della primavera” di Igor Strawinsky, in questa nostra Pasqua alta che viene a coincidere con l’inizio della primavera, a venirci in mente. Non il tenero sbocciare delle primule ma qualcosa di più forte e drammatico, come il disgelo e l’irrompere dell’acqua che scorre. Ma dov’è Primavera? Non certo in Tibet. Questo nostro mondo capitalistico - il migliore dei mondi possibili? - non mostra né ragione né sentimento. Tutti hanno ritenuto opportuno non ricevere il Dalai Lama quando è venuto in Italia. I fratelli cristiani dovrebbero con voce meno timida pregare per i fratelli buddisti.
E che primavera è quella della nostra campagna elettorale? Quando un litro di latte costa 1.60 euro, cioè tremilanovantotto lire, bisogna convenire che il nostro non è un paese per poveri. Tenuto conto delle pensioni più basse, non è un paese per vecchi, pur essendo vecchio. Tenuto conto degli stipendi dei lavoratori dipendenti, non è un paese per lavoratori dipendenti. Tenuto conto del precariato, il peggio è che l’Italia non è un paese per i giovani.
Invece è il paese degli enigmi, come quello della caduta del governo Prodi e dell’eclissi di Romano Prodi, avvenute – è una constatazione – appena quando si è raggiunto quel risanamento obbligato delle casse dello Stato che è pesato sui cittadini, i lavoratori dipendenti, gli stessi su cui più ha pesato e continua a pesare il peso dell’inflazione. La sperequazione tra lavoro autonomo e dipendente: l’ineguaglianza fiscale e l’esposizione all’inflazione di quest’ultimi, sembra essere peculiarità italiana. Una diseguaglianza trasversale che s’è sovrapposta a quella tra nord e sud. Ricorre in questi giorni di marzo anche l’anniversario della morte di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta. S’è detto che lo statista si prefiggeva il compito di allargare la base democratica di questo Paese. Sono passati trent’anni. Di quanto questa base s’è realmente allargata?
La primavera arriva ogni anno, finchè le stelle nel cielo faranno il loro corso. Sta a noi accoglierla. Ricordo una novella di Luigi Pirandello dove il vecchio che si sveglia la mattina avverte qualcosa d’insolito nella casa, nella nuora e nella bambina, nel loro muoversi e parlare tra loro. Non fa domande, vuole capire da sé e fa molte congetture. Alla fine comprende: è la primavera, ma lui veramente vecchio non se n’era accorto.

lunedì 3 marzo 2008

Viaggio in Etruria meridionale



Scegliere come itinerario l’Etruria meridionale, per una passeggiata in campagna, per svagarsi dalla città, vuol dire in realtà proporsi un viaggio impegnativo.
Procedendo verso l’interno, è il Lazio vulcanico che ci si fa incontro. Lo spettacolo delle sue forre, profondi canaloni incisi nelle pareti tufacee, non smette di sorpenderci ed attirarci. Ai margini dei suoi tanti borghi sulle creste tufacee ci coglie un’ansia di guardare giù nel profondo cupo di vegetazioni intricate, sotto cui immaginiamo lo scorrer di un corso d’acqua. Il più grandioso, quasi mozzafiato, quello dal ponte di Civita Castellana. E dal fondo, dalle vegetazioni, risalire con lo sguardo le pareti naturali di tufo rossiccio, oppure ocra, che divengono i maestosi basamenti finemente decorati da muschi e licheni, in una tavolozza che va dal bianchiccio, come una biacca naturale, al verde, al giallino e al grigio, su cui gli uomini posero i blocchi ora irregolari, ora squadrati, delle mura delle loro città. Resti poderosi, a tratti incredibilmente integri, con le cime delle torri ancora svettanti, a tratti erosi e smozzicati come accade alle rocce tufacee.
Chiudere gli occhi e immaginare come questo territorio è stato plasmato. Il cielo rosso e affumato dei giorni antichi in cui i vulcani furono in eruzione e il formarsi dei tufi. Poi i fiumi, scendendo dai crateri, modellarono le pareti a picco delle forre laziali. Gli effetti particolari alla vista che questo paesaggio produce quando ci muoviamo dentro di esso: i piani tra le forre in lontananza si ricompongono a dare l’illusione di un’unica, estesa pianura; appena addentrandoci in uno di questi canaloni, vedere invece i pianori intorno, alti sopra di noi, già verdi in qualunque tempo, se è piovuto da poco. Uno dei più notevoli a Bomarzo.
Quando la creazione fu completata vennero gli uomini a costruire le loro città. Erano gli Etruschi e scelsero gli altopiani tufacei tra le forre, per due lati circondati da dirupi pressochè verticali, l’incomparabile “posizione etrusca”. Essa scaturiva dall’intelligenza del paesaggio, che conduceva ad una scelta dominatrice e nello stesso tempo difensiva, perché quasi inespugnabile. Oggi così pittoresca.

Chi erano gli etruschi? Tra i gialli della storia, l’origine degli etruschi è stato uno degli enigmi più avvincenti. Tre le ipotesi accolte e discusse dagli studiosi, che gli etruschi provenissero dal Nord, che fossero una popolazione auctoctona o che fossero giunti in Italia dall’Oriente. Le analisi genetiche basate sul confronto dei Dna, non solo di popolazioni umane, ma anche del bestiame da esse allevato, hanno recentemente dato maggiore conforto alla terza ipotesi, che essi siano giunti dall’Oriente e per via di mare, per la sorprendente somiglianza genetica tra alcune popolazioni dell’Asia minore e delle regioni di Volterra e di Siena. Siccome una tale somiglianza non è stata trovata in altre popolazioni frapposte tra l’Italia e la Turchia per via di terra, gli Etruschi, i Tirreni come li chiamavano i Greci, tra i quali Erodoto sosteneva appunto che provenissero dall’Oriente, sarebbero giunti sulle nostre coste per via di mare, portando sulle loro imbarcazioni anche le nostre costate alla fiorentina! Dalla Lidia, cioè da quell’ Oriente misterico da cui i Greci, sempre secondo Erodoto, accoglievano nel loro Olimpo Dioniso.
Alla luce della scoperta molte cose andrebbero al giusto posto. Si spiegherebbe com’è che i Tirreni fossero una grande potenza di mare, anche se le loro industrie e coltivazioni potevano trarre in inganno. L’influenza, il commercio, il gusto dell’Oriente, documentati, non sarebbero stati secondari ma primari, dovuti, cioè, ad una relazione con la madrepatria evidentemente mai perduta. Non ci sarebbe più bisogno di spiegarci come ad un certo punto alcune tra le genti italiche, più rozze, siano emerse diventando gli Etruschi. Desta perciò ammirazione pensare a questo popolo venuto dal mare, a come seppe scegliere le regioni e i luoghi su cui costruire le sue città, sfruttare le miniere e allevare e coltivare, diventare una grande potenza di terra oltrechè di mare.
Tornano in mente quei tratti tipici del loro carattere che ancor oggi si possono ritrovare nella gente di Toscana, Lazio, Umbria e anche dell’Emilia Romagna, come il gusto del lusso, la sensualità, la superstizione… che dunque ci verrebbero dall’Oriente.

Un popolo scomparso. Già, perché gli Etruschi come nazione scomparvero assorbiti dall’astro di Roma, che pure dovette loro molto. Abbiamo ancora tracce della loro persistenza al volgere della repubblica quando Sallustio nel narrare le ultime vicende della congiura di Catilina ci dice che raccolse le sue truppe in Etruria e stabilì il suo quartier generale a Fiesole, che da sempre era stata ostile a Roma. E Fiesole era di origine etrusca.
Proprio nella Tuscia meridionale, dove si ebbero insediamenti etruschi tra i più antichi, ma anche tra i primi a decadere e a cadere sotto l’urto di Roma, come accadde a Veio, possiamo leggere nel territorio le luci e le ombre del loro destino. Città e abitati la cui unica sopravvivenza è rappresentata dalle necropoli, le città dei defunti, come a Norchia, Veio, Vulci, o da resti di templi importanti come a Veio e Pyrgi, sulla costa. Altre città hanno attraversato in continuità la storia, sono diventate centri medievali e rinascimentali, come Sutri, Barbarano, Vetralla, Tuscania, e anche rinascimentali, anche se nel Lazio odierno sono ormai ridotti a borghi rurali. La continuità di vita delle città nate etrusche ci assicura che non furono un popolo estinto ma che si mescolarono e parteciparono al farsi della storia, anche se poche sono le testimonianze prettamente etrusche che queste città conservano: la loro posizione, le fondamenta e parti delle mura, qualche arco o porta d’entrata. La maggior parte di ciò che ci resta di fattura etrusca proviene dalle necropoli, arredate come le case dei vivi. In particolare, dalle necropoli rupestri scavate nelle pareti delle forre laziali, come a Norchia, Barbarano e Blera, possiamo dedurre come fossero le facciate dei loro edifici, come arredassero le loro case.


Vetralla

Così la Tuscia meridionale è come un libro aperto su cui studiare l’insediamento umano in rapporto col territorio, le testimonianza di civiltà trascorse e nello stesso tempo arrivate fino a noi. Spiace che a volte questo patrimonio storico e artistico non sia sufficientemente tutelato e che al visitatore che arriva, desideroso o sorpreso e incuriosito di decifrare i segni del tempo e della storia, il cammino si trovi troppo spesso precluso dall’incuria e dall’abbandono. Un patrimonio che è di tutti noi, è la nostra storia, le nostre radici, e la cui sola esistenza giustificherebbe uno status migliore, e una vita culturale più attiva per i luoghi in cui giace.

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