sabato 30 gennaio 2010
Termini Imerese e il gioco delle parti (Reprise)
Il gioco delle parti è ripreso con vigore.
La maggior parte dei commentatori dà per scontato che, di tutti gli stabilimenti Fiat, quello di Termini Imerese non abbia proprio futuro. Dunque non c’è e non ci sarà nemmeno più un futuro industriale per la Sicilia. Ci vorrebbe un’altra classe politica che facesse mea culpa per quel che non ha fatto nei quarant'anni di vita di questo stabilimento - dall'altra parte dell'oceano c'è chi lo fa - e prendesse impegni credibili, quando invece nell'oggi sa solo tagliare su tutto, dalla scuola agli incentivi.
In questa messinscena è troppo facile prendersela solo con l’azienda e il suo amministratore, lasciando nell’ombra le responsabilità degli altri attori della compagnia.
(post precedente sull'argomento: Termini Imerese e il gioco delle parti)
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domenica 24 gennaio 2010
Salviamo la geografia
Una volta nelle nostre scuole le carte geografiche non mancavano. Oggi che le famiglie devono preoccuparsi di fornire alle scuole gessetti e perfino la carta igienica, figuriamoci le carte geografiche. Una volta a mancare erano le aule, c’erano i doppi e tripli turni e un anno delle medie finimmo a far lezione in una stanza che era un deposito di carte geografiche: come facemmo bene la geografia quell’anno, e pure la storia antica perché potevamo subito visualizzare i luoghi dei popoli e i loro spostamenti. Del resto quasi sempre c’erano grandi carte geografiche nelle aule.
Oggi con le carte se ne sta andando anche la geografia: le sue ore diminuiscono e i nostri geografi lanciano l’allarme. Con la riforma Gelmini l'insegnamento della geografia scomparirebbe in tutti gli istituti professionali e in quasi tutti i tecnici; riduzione drastica nei licei, dove già si fanno solo due ore settimanali e solo nel primo biennio. In particolare, nei licei scientifici la geografia verrebbe associata alla storia con tre ore settimanali complessive tra storia e geografia. I geografi chiedono che si ripristino le sessantasei ore destinate autonomamente alla geografia, l’unica tra le discipline di base, ad essere del tutto assente nel triennio.
Davvero la geografia non serve più? Ci bastano solo le indicazioni stradali che ci dicono sempre dove andare quando ci spostiamo? E che istruzione è quella che si basa solo su quel che ci serve strettamente e alla fine ci riconduce all’ignoranza?
Le carte geografiche cominciarono ad avere una grande produzione tipografica dopo l’avventura di Cristoforo Colombo perché il mondo conosciuto cresceva, spostava i suoi confini. Il gran cardinale Farnese, nipote del papa Paolo III nel suo palazzo di Caprarola ffaceva decorare una stanza con le carte geografiche murali intorno al 1570 e una decina d’anni dopo una galleria del palazzo Vaticano si riempiva delle carte di tutte le regioni d’Italia, da un lato del corridoio quelle affacciate sull’Adriatico e dall’altro quelle sul Tirreno.
Oggi il mondo è, a parte regioni circoscritte, del tutto conosciuto e sembra concluso il tempo e il mito delle esplorazioni. Così la geografia avrebbe esaurito la sua spinta, la sua motivazione originaria. Allora non abbiamo più bisogno di sapere dei luoghi e delle distanze, di controllare i confini? Se anche le carte geografiche non s’arricchiscono più perché il mondo è noto, ancora i confini cambiano e i popoli migrano.
Oppure ancora una volta ci troviamo di fronte a un effetto dello stare nel villaggio globale, della perdita d’identità che comporta l’affievolirsi della nostra percezione delle relazioni spaziotemporali? - o è un caso di regressione tutto italiano?-.
Eppure la storia e le civiltà umane si sono sviluppate con il controllo e la comprensione del territorio e con il porre dei confini. Nel nostro sforzo di cercare di capire il mondo com’è stato, e come potrebbe diventare, non possiamo perciò fare a meno della geografia. La perdita della conoscenza geografica aumenterebbe l’ottundimento delle nostre capacità d’analisi, di far fronte ai problemi, di progettare il futuro. E proprio riguardo al futuro del pianeta alcuni concetti importanti, come la tutela delle biodiversità e lo sviluppo sostenibile, si sono affermati grazie al contributo dei geografi.
Oggi con le carte se ne sta andando anche la geografia: le sue ore diminuiscono e i nostri geografi lanciano l’allarme. Con la riforma Gelmini l'insegnamento della geografia scomparirebbe in tutti gli istituti professionali e in quasi tutti i tecnici; riduzione drastica nei licei, dove già si fanno solo due ore settimanali e solo nel primo biennio. In particolare, nei licei scientifici la geografia verrebbe associata alla storia con tre ore settimanali complessive tra storia e geografia. I geografi chiedono che si ripristino le sessantasei ore destinate autonomamente alla geografia, l’unica tra le discipline di base, ad essere del tutto assente nel triennio.
Davvero la geografia non serve più? Ci bastano solo le indicazioni stradali che ci dicono sempre dove andare quando ci spostiamo? E che istruzione è quella che si basa solo su quel che ci serve strettamente e alla fine ci riconduce all’ignoranza?
Le carte geografiche cominciarono ad avere una grande produzione tipografica dopo l’avventura di Cristoforo Colombo perché il mondo conosciuto cresceva, spostava i suoi confini. Il gran cardinale Farnese, nipote del papa Paolo III nel suo palazzo di Caprarola ffaceva decorare una stanza con le carte geografiche murali intorno al 1570 e una decina d’anni dopo una galleria del palazzo Vaticano si riempiva delle carte di tutte le regioni d’Italia, da un lato del corridoio quelle affacciate sull’Adriatico e dall’altro quelle sul Tirreno.
Oggi il mondo è, a parte regioni circoscritte, del tutto conosciuto e sembra concluso il tempo e il mito delle esplorazioni. Così la geografia avrebbe esaurito la sua spinta, la sua motivazione originaria. Allora non abbiamo più bisogno di sapere dei luoghi e delle distanze, di controllare i confini? Se anche le carte geografiche non s’arricchiscono più perché il mondo è noto, ancora i confini cambiano e i popoli migrano.
Oppure ancora una volta ci troviamo di fronte a un effetto dello stare nel villaggio globale, della perdita d’identità che comporta l’affievolirsi della nostra percezione delle relazioni spaziotemporali? - o è un caso di regressione tutto italiano?-.
Eppure la storia e le civiltà umane si sono sviluppate con il controllo e la comprensione del territorio e con il porre dei confini. Nel nostro sforzo di cercare di capire il mondo com’è stato, e come potrebbe diventare, non possiamo perciò fare a meno della geografia. La perdita della conoscenza geografica aumenterebbe l’ottundimento delle nostre capacità d’analisi, di far fronte ai problemi, di progettare il futuro. E proprio riguardo al futuro del pianeta alcuni concetti importanti, come la tutela delle biodiversità e lo sviluppo sostenibile, si sono affermati grazie al contributo dei geografi.
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domenica 10 gennaio 2010
Termini Imerese e il gioco delle parti
Nel 1970 i piemontesi sono tornati in Sicilia, dopo oltre un secolo dunque, e questa volta finalmente portando l’industria, quando invece negli anni Cinquanta e Sessanta lo sviluppo del Continente, come i siciliani hanno sempre chiamato la penisola, aveva fatto leva sull’immigrazione della forza lavoro dal sud povero e contadino, e i meridionali riempivano le città industriali del nord e pativano il razzismo racchiuso nella parola terrone, con le sue varianti dialettali, terún, terù in Lombardia, Piemonte e Liguria, tarùn, taroch, terón in Veneto, teròch, tarón in Emilia Romagna.
L’industria era la prima del paese, la Fiat, l’insediamento industriale siciliano aveva il carattere dell’avamposto: Termini Imerese. Ad Occidente delle Madonie, tra Cefalù e Palermo, che dista da Termini una trentina di chilometri, dove la catena montuosa s’interrompe nella valle del fiume Torto e la costa forma un ampio golfo, il Golfo di Termini Imerese.
Qui all’incirca nel 600 a.C. era stata fondata Himera colonia greca, sulla destra del fiume omonimo. Poi distrutta dai cartaginesi che la ricostruirono un po’ più in là, Thermai, sulla sommità di un promontorio in vista del golfo, dove sgorgavano le acque calde, da cui ne derivò il nome, divenuto Termae sotto i romani.
Le acque termali provengono dal monte s.Calogero, magnifico sfondo del golfo, il principale dei massicci isolati che costituiscono i monti di Termini Imerese, da cui discendono fiumi brevi e a carattere torrentizio per la vicinanza al mare, ma di notevole importanza per l’approvvigionamento idrico della Sicilia Settentrionale.
E proprio di fronte al mare, nella parte bassa della zona urbana, dove la strada prese il nome di Lungomare Senatore Giovanni Agnelli, fu costruito lo stabilimento. Per edificarlo ci fu un accordo con la regione siciliana. Si creò la Sicilfiat ma in seguito lo stabilimento divenne di totale proprietà dell’azienda torinese, come gli altri. Vi sono state prodotte la Cinquecento, la Panda e la Punto. Oggi vi si produce la Lancia Ypsilon. I lavoratori sono oscillati nel tempo tra i millecinquecento e i tremila.
La Fiat riceve degli incentivi ma per l’oggi Marchionne precisa che non è un'azienda assistita dallo Stato, in quanto gli incentivi sono stati finanziati dal Lingotto e il credito accumulato dal Gruppo è di circa 800 milioni di euro.
Nel recente incontro di dicembre a Palazzo Chigi, Marchionne ha ribadito quanto preannunciato nei mesi scorsi, che la produzione di automobili a Termini Imerese cesserà a dicembre 2011. Il “delta di costi” nel golfo siciliano è eccessivo: produrre l’automobile nello stabilimento di Termini costa alla Fiat circa mille euro in più che in altri. Lo stabilimento è dunque in perdita e lo svantaggio competitivo non è più accettabile rispetto all’attuale competitività dell’industria automobilistica mondiale.
Per l’occasione il comune di Termini Imerese ha indetto per lo stesso giorno in cui Marchionne parlava a Palazzo Chigi una seduta straordinaria del consiglio comunale a Roma e i romani si sono accorti per il traffico impazzito della presenza dei metalmeccanici di Termini sotto Palazzo Chigi. Il sindaco ha espresso fiducia: “Termini Imerese è già riuscita nel 2002 a far cambiare idea a Fiat, vuole riuscirci una seconda volta”.
La Fiom di Termini Imerese è stata dura con l’amministratore delegato: «Marchionne ha mostrato tutta la sua arroganza, ha usato toni molto gravi su Termini Imerese. Avrà pure salvato la Fiat, ma non si può permettere di mortificare la dignità di tremila persone che hanno contribuito a fare grande questa azienda, che ha avuto tanto dai governi, ma non hanno avuto niente in cambio. La nostra risposta sarà decisa»
In realtà il gioco delle parti in questa vicenda è complesso.
Lo stabilimento di Termini è rimasto solo: l’indotto con le infrastrutture non sono cresciuti, come pure la Fiat aveva richiesto alla regione siciliana e il porto che molto probabilmente era stato tra i motivi per la scelta di Termini non è mai stato potenziato come pure richiesto. Insomma l'avamposto è rimasto tale e il mondo intorno a lui fermo, e non certo per colpa della Fiat. Questo è stato ricordato da Marchionne nei mesi scorsi. Perchè allora la Fiom di Termini Imerese se la prende solo con Marchionne, quando è chiaro che si rientra nella problematica più acuta dell’isola, nel suo non riuscire a creare infrastrutture locali moderne e competitive?
Riconosciuto il dovuto a Marchionne, non è accettabile, perché perdente per il futuro della Sicilia, la sua soluzione di destinare lo stabilimento ad altra produzione che non quella dell’automobile: “Siamo pronti a mettere a disposizione lo stabilimento”.
L'amministratore delegato è disposto fino ad un certo punto a “conciliare costi industriali con responsabilità sociale”. Ha detto:“un puro calcolo economico avrebbe conseguenze dolorose che nessuno vuole ma un'attenzione esclusiva al sociale condurrebbe alla scomparsa dell'azienda”. Seppure non disconosciamo l’importanza dei costi industriali, della competitività aziendale, il caso sociale e storico di Termini Imerese li travalica e questo ritorno dei piemontesi in Sicilia non può finire così miseramente. Lo Stato e la regione Sicilia sono altrettanto responsabili: se la grande industria sparisce dalla Sicilia cosa vi resterà se non la mafia?
Forse la soluzione e nello stesso tempo il simbolo della crisi di Termini Imerese sta nel suo porto. Dal medioevo e sino agli inizi del XIX secolo Termini fu uno dei maggiori centri di raccolta ed imbarco del grano immagazzinato negli spazi del cosiddetto Regio Caricatore o caricatojo e quest’area portuale ne fece di fatto uno dei maggiori porti siciliani per gli scambi commerciali. Il molo vero e proprio fu costruito dopo l’Unità d’Italia. Non è stato più ammodernato dagli anni Ottanta del Novecento ed ha problemi d’interramento.
La sua sistemazione, potrebbe cominciare a far cambiare idea a Marchionne. E’ d’interventi locali come questi che la Sicilia ha bisogno per svilupparsi. Che se ne fanno del ponte sullo stretto a Termini? Quando si potessero già imbarcare le automobili dal porto?
E quante altre Termini, quanti altri problemi locali di strutture da sviluppare, ci sono in Sicilia, molto più economiche e facili da realizzare del ponte?
L’industria era la prima del paese, la Fiat, l’insediamento industriale siciliano aveva il carattere dell’avamposto: Termini Imerese. Ad Occidente delle Madonie, tra Cefalù e Palermo, che dista da Termini una trentina di chilometri, dove la catena montuosa s’interrompe nella valle del fiume Torto e la costa forma un ampio golfo, il Golfo di Termini Imerese.
Qui all’incirca nel 600 a.C. era stata fondata Himera colonia greca, sulla destra del fiume omonimo. Poi distrutta dai cartaginesi che la ricostruirono un po’ più in là, Thermai, sulla sommità di un promontorio in vista del golfo, dove sgorgavano le acque calde, da cui ne derivò il nome, divenuto Termae sotto i romani.
Le acque termali provengono dal monte s.Calogero, magnifico sfondo del golfo, il principale dei massicci isolati che costituiscono i monti di Termini Imerese, da cui discendono fiumi brevi e a carattere torrentizio per la vicinanza al mare, ma di notevole importanza per l’approvvigionamento idrico della Sicilia Settentrionale.
E proprio di fronte al mare, nella parte bassa della zona urbana, dove la strada prese il nome di Lungomare Senatore Giovanni Agnelli, fu costruito lo stabilimento. Per edificarlo ci fu un accordo con la regione siciliana. Si creò la Sicilfiat ma in seguito lo stabilimento divenne di totale proprietà dell’azienda torinese, come gli altri. Vi sono state prodotte la Cinquecento, la Panda e la Punto. Oggi vi si produce la Lancia Ypsilon. I lavoratori sono oscillati nel tempo tra i millecinquecento e i tremila.
La Fiat riceve degli incentivi ma per l’oggi Marchionne precisa che non è un'azienda assistita dallo Stato, in quanto gli incentivi sono stati finanziati dal Lingotto e il credito accumulato dal Gruppo è di circa 800 milioni di euro.
Nel recente incontro di dicembre a Palazzo Chigi, Marchionne ha ribadito quanto preannunciato nei mesi scorsi, che la produzione di automobili a Termini Imerese cesserà a dicembre 2011. Il “delta di costi” nel golfo siciliano è eccessivo: produrre l’automobile nello stabilimento di Termini costa alla Fiat circa mille euro in più che in altri. Lo stabilimento è dunque in perdita e lo svantaggio competitivo non è più accettabile rispetto all’attuale competitività dell’industria automobilistica mondiale.
Per l’occasione il comune di Termini Imerese ha indetto per lo stesso giorno in cui Marchionne parlava a Palazzo Chigi una seduta straordinaria del consiglio comunale a Roma e i romani si sono accorti per il traffico impazzito della presenza dei metalmeccanici di Termini sotto Palazzo Chigi. Il sindaco ha espresso fiducia: “Termini Imerese è già riuscita nel 2002 a far cambiare idea a Fiat, vuole riuscirci una seconda volta”.
La Fiom di Termini Imerese è stata dura con l’amministratore delegato: «Marchionne ha mostrato tutta la sua arroganza, ha usato toni molto gravi su Termini Imerese. Avrà pure salvato la Fiat, ma non si può permettere di mortificare la dignità di tremila persone che hanno contribuito a fare grande questa azienda, che ha avuto tanto dai governi, ma non hanno avuto niente in cambio. La nostra risposta sarà decisa»
In realtà il gioco delle parti in questa vicenda è complesso.
Lo stabilimento di Termini è rimasto solo: l’indotto con le infrastrutture non sono cresciuti, come pure la Fiat aveva richiesto alla regione siciliana e il porto che molto probabilmente era stato tra i motivi per la scelta di Termini non è mai stato potenziato come pure richiesto. Insomma l'avamposto è rimasto tale e il mondo intorno a lui fermo, e non certo per colpa della Fiat. Questo è stato ricordato da Marchionne nei mesi scorsi. Perchè allora la Fiom di Termini Imerese se la prende solo con Marchionne, quando è chiaro che si rientra nella problematica più acuta dell’isola, nel suo non riuscire a creare infrastrutture locali moderne e competitive?
Riconosciuto il dovuto a Marchionne, non è accettabile, perché perdente per il futuro della Sicilia, la sua soluzione di destinare lo stabilimento ad altra produzione che non quella dell’automobile: “Siamo pronti a mettere a disposizione lo stabilimento”.
L'amministratore delegato è disposto fino ad un certo punto a “conciliare costi industriali con responsabilità sociale”. Ha detto:“un puro calcolo economico avrebbe conseguenze dolorose che nessuno vuole ma un'attenzione esclusiva al sociale condurrebbe alla scomparsa dell'azienda”. Seppure non disconosciamo l’importanza dei costi industriali, della competitività aziendale, il caso sociale e storico di Termini Imerese li travalica e questo ritorno dei piemontesi in Sicilia non può finire così miseramente. Lo Stato e la regione Sicilia sono altrettanto responsabili: se la grande industria sparisce dalla Sicilia cosa vi resterà se non la mafia?
Forse la soluzione e nello stesso tempo il simbolo della crisi di Termini Imerese sta nel suo porto. Dal medioevo e sino agli inizi del XIX secolo Termini fu uno dei maggiori centri di raccolta ed imbarco del grano immagazzinato negli spazi del cosiddetto Regio Caricatore o caricatojo e quest’area portuale ne fece di fatto uno dei maggiori porti siciliani per gli scambi commerciali. Il molo vero e proprio fu costruito dopo l’Unità d’Italia. Non è stato più ammodernato dagli anni Ottanta del Novecento ed ha problemi d’interramento.
La sua sistemazione, potrebbe cominciare a far cambiare idea a Marchionne. E’ d’interventi locali come questi che la Sicilia ha bisogno per svilupparsi. Che se ne fanno del ponte sullo stretto a Termini? Quando si potessero già imbarcare le automobili dal porto?
E quante altre Termini, quanti altri problemi locali di strutture da sviluppare, ci sono in Sicilia, molto più economiche e facili da realizzare del ponte?
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venerdì 1 gennaio 2010
2010, buon anno mondo
Un pensiero per l’anno nuovo. Invece di lasciare l’Italia, un tema molto trattato nel 2009, ad esempio come consigliava Pierluigi Celli in una lettera molto nota al figlio laureando, potremmo esercitarci, restando, a pensare l’Italia fuori d’Italia, cioè a vederci di più in rapporto agli altri.
Intanto perché viviamo nel villaggio globale e dovremmo capire meglio che cosa questo comporta.
E poi perché il mondo va avanti e cambia anche senza di noi mentre da noi sembra che nulla voglia cambiare: sempre gli stessi misteri e casi irrisolti, ombre e nebbia; sempre le stesse cose che non vanno; sempre gli stessi politici; sempre meno chance nella vita dei cittadini normali.
E allora apriamo le finestre e guardiamo fuori, informiamoci sul resto del mondo per capire cosa c’è in noi che non va, perché restiamo fermi mentre la terra gira. E per trovare il modo, o il punto, per cominciare a cambiare.
Apriamo gli occhi sul mondo, buon anno mondo, buon anno Italia!
Intanto perché viviamo nel villaggio globale e dovremmo capire meglio che cosa questo comporta.
E poi perché il mondo va avanti e cambia anche senza di noi mentre da noi sembra che nulla voglia cambiare: sempre gli stessi misteri e casi irrisolti, ombre e nebbia; sempre le stesse cose che non vanno; sempre gli stessi politici; sempre meno chance nella vita dei cittadini normali.
E allora apriamo le finestre e guardiamo fuori, informiamoci sul resto del mondo per capire cosa c’è in noi che non va, perché restiamo fermi mentre la terra gira. E per trovare il modo, o il punto, per cominciare a cambiare.
Apriamo gli occhi sul mondo, buon anno mondo, buon anno Italia!
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