mercoledì 26 novembre 2008

Bell'Italia


La sponda di un laghetto vulcanico dell’Italia Centrale in un pomeriggio d’estate.
E’ inutile aguzzare la vista, è proprio così: non c’è nemmeno un casolare.
La strada principale per arrivarci pur essendo asfaltata non è delle più agevoli e poi ci sono altre strade… - sento ancora gli improperi del guidatore di una normale quattro ruote e della comitiva di quel pomeriggio - probabilmente più antiche, strade bianche e acciottolate, che però ti fanno entrare dentro il paesaggio.
Già l’estate per un verso è la stagione dell’atemporalità, quando per il caldo tutto si ferma e ristagna e una simile visione potrebbe essere ora o duemila anni fa, se non fosse per la nostra intuizione interna a priori con cui Kant s’affaticava a definire il tempo.
Così potrebbero essere etruschi a sbucare dalla macchia, o signori feudali intenti a un’oscura battaglia di cui s’è persa la memoria oppure sopravvive nelle carte rinsecchite di un archivio.
Certo oggi è un oasi che ristora la vista, quando la cementificazione non s’è arrestata, anzi avanza giorno dopo giorno.

mercoledì 19 novembre 2008

Circa i Beni Culturali




Una nuova direzione generale dei musei ai Beni Culturali è stata appena inaugurata con la nomina di Mario Resca. Qualche perplessità è suscitata dal fatto che il neoeletto vanta eccellente curriculum come manager ma non in campo storico artistico. Quindi suo obiettivo dovrà essere il miglioramento dei nostri musei dal punto di vista prettamente organizzativo. Molto probabilmente, però, tra gli storici dell’arte e gli architetti del ministero sarà circolata la voce che il nuovo direttore generale è reduce dalla direzione della Mac Donald con qualche sospiro.
Siamo il Paese con il più grande patrimonio storico artistico al mondo, ma il ministero che ne se occupa è sempre stato uno dei più “piccoli” per importanza e prestigio e nonostante ciò la scelta di tecnici di chiara fama, che non mancano certo, ai più alti posti di questo ministero continua ad essere disattesa. Insomma l’interesse dei governi per questo settore o è stato inadeguato o, quando si è acceso negli ultimi tempi, è stato soprattutto dal punto di vista della produttività, ma trattandosi del patrimonio storico artistico del nostro Paese sarà bene chiarire che il lato economico, l’immagine e il marketing non possono esserne gli aspetti essenziali.
I beni culturali, e non solo quelli che stanno al chiuso nei musei, istituti e soprintendenze ma anche nei centri storici delle nostre città e borghi, le piazze e i monumenti, le antiche pietre dei ruderi più antichi ancora eretti o giacenti negli scavi archeologi, sono tra le testimonianze tangibili della nostra storia e della nostra identità, una storia che per alcuni lunghi tratti, possiamo dirlo senza retorica, ha illuminato il mondo. C’è stato qualcosa in questa penisola dalla forma buffa che ha consentito a più riprese la rinascita della civiltà, la posizione nel Mediterraneo, il clima e forse soprattutto l’incontro e la separazione tra genti diverse, favorito dalla conformazione geografica, fonte di quell’individualismo che da sempre è stato la nostra forza e la nostra dannazione. Così siamo un Paese in perenne ricerca dell’ identità comune: i beni culturali sono l’archivio delle nostre cose più preziose.
Ma è un patrimonio delicato, perché la più parte è soggetta alle offese del tempo e della dimenticanza e il cui significato nel flusso del quotidiano ha bisogno di essere costantemente ricompreso e rivissuto. Così dalla fine dell’Ottocento, a cominciare d’Adolfo Venturi, gli storici italiani hanno sviluppato nel campo della storia dell’arte una teoria incentrata sui concetti del restauro e della conservazione, e conseguentemente una prassi della tutela che trovava il maggior compimento nella legislazione del Regno del 1939. La Costituzione della Repubblica ha riaffermato la tutela da parte dello Stato con l’art. 9. Vi si legge del patrimonio storico e artistico della Nazione: con quel complemento di specificazione, della Nazione, si sintetizza appunto che questo patrimonio ci unisce, sta nel bagaglio, e più prezioso, della nostra identità.
Da ultimo, nell’età berlusconiana, ai concetti di restauro, conservazione e tutela, sacri per gli storici dell’arte che si sono formati alla scuola di maestri come Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan ed altri, s’è aggiunto quello della valorizzazione, termine di passaggio alla dimensione economica, al mercato. La nomina del nuovo direttore generale sembra tutta in questa direzione.
Questa valorizzazione non dovrebbe presiedere alla conservazione e tutela e quindi alla competenza scientifica. L’aspetto economico non può venire prima dell’alto valore civile, educativo, che i nostri beni culturali esercitano sulle nostre coscienze, quando come cittadini andiamo nei nostri musei ed entriamo in conversazione con essi.

giovedì 13 novembre 2008

Day Hospital

Diario di bordo. Annotazioni precedenti: Alla finestra, Un'estate particolare; L'arma del buonumore.





Aspetto il mio turno. Ho incontrato Giovanna, già compagna nel reparto di chirurgia. Lei ha già preso il suo cocktail di farmaci e non vede l’ora che la mandino a casa. Ci ritroviamo sedute nel corridoio con il cappello in testa - perché ormai siamo calve - il suo di panno grigio, il mio di lana colorata a righe, un po’ da rapper e un po’ anni trenta.
- Carino, l’hai fatto tu? – mi dice sua figlia. Giovanna è un bel po’ più grande di me, ha due figlie e i nipoti che sono dei ragazzi.
- Sì, ne ho fatti tanti, anche da casa e per la notte.
- Hum, un vero guardaroba! - . Ci scherziamo un po’.
Dal fondo del corridoio c’è una ragazza che avanza ma cammina male. Ha i jeans celesti, i capelli biondi tagliati sopra le spalle e uno zucchetto di lana sulla testa. E’ un’immagine chiara. Quando ci passa davanti mi accorgo che dei lacrimoni le cascano giù e le bagnano le mani.
- Quando tocca ai giovani… - borbotta Giovanna. Poi riusciamo a restare zitte per un pochino. Ci sono i genitori che l’accompagnano ma sono muti, come impotenti ed impietriti. Lei in questo momento è sola col suo dolore. Ripenso a quello che ho scritto e un’arma spuntata mi appare quella del buonumore. Qualcosa di superiore deve venire a sollevare l’anima che soffre.
Giovanna se n’è andata. Ora sto nella poltrona con il mio cocktail pronto. E’ venuta a tenermi compagnia mia sorella con una sua amica che abita proprio di fronte all’ospedale, di cui naturalmente sa tutto. Ci sono anche due uomini alle prese con la loro chemio, nell’unica stanza rimasta disponibile. Il signore accanto a me viene da Messina. Il suo male sta nella pelle e dice che è molto raro ed ha girato un po’ per il continente prima che capissero di che si trattava e approdare qui. Le mie accompagnatrici avide di conversazione cominciano a fargli domande sulla Sicilia: il pesce, la cucina, il pane che lo fanno ancora come una volta, e i vecchi mestieri che resistono e i giovani che non trovano lavoro, e il ponte che non si farà perché i lavori in Sicilia si cominciano ma non si finiscono mai ma i soldi sì.
Entra una suora, forse per dare un po’ di conforto ma dice:
- Che è un salotto? – e poi ci benedice.
Fuori sta facendo scuro e il cielo è gonfio di pioggia.
Quando finalmente vado via è una dottoressa che mi congeda. E’ giovane, carina, con i cappelli biondi tirati dietro e gli occhi chiari. Anche lei un’immagine chiara. Ha l’aria stanca, tirata.
Usciamo. C’è un gattone tigrato a pelo lungo con il petto bianco che presiede al lato della scalinata. L’amica di mia sorella sa tutto anche su di lui. La sua padrona abitava in un palazzo proprio di fronte e quando lei se n’è andata il gatto ha attraversato la strada e ora abita qui. Dina, la mia compagna dell’ultimo ricovero, quando la sera non le andava più il prosciutto lo metteva al fresco sul davanzale della finestra e poi la mattina glielo portava.
Piove ormai a dirotto. Ci salutiamo. Resto con mio marito e ci avviamo alla macchina. Mentre partiamo racconta che ha sorpreso la dottoressa che mi ha dimesso nella veranda che piangeva anche lei a dirotto al telefonino. Allora associo la pioggia che cade dal cielo e scivola sui vetri della macchina alle lacrime e penso che quella almeno laverà i marciapiedi sporchi di questa città.

martedì 11 novembre 2008

Potere assoluto: l’anomalia italiana




Abbiamo da poco assistito alle elezioni americane, dove la forma di governo è presidenziale. Potere assoluto spesso si dice per indicare il grado dell’autorità che è consegnata dai cittadini nelle mani del Presidente degli Stati Uniti. Come nel titolo di un film di Clint Eastwood, che ne immagina alcune possibili degenerazioni.
Da noi non è così, o meglio non dovrebbe essere così, perché siamo una repubblica parlamentare. Anzi di parlamenti i padri fondatori della repubblica ne pensarono, per maggior sicurezza, due: la Camera e il Senato. Il nostro Capo del Governo non dovrebbe avere il potere assoluto. Nelle nostre elezioni si vota in primis il rinnovo del Parlamento – una forzatura verso il presidenzialismo nelle ultime elezioni è stata il porre il nome del candidato premier nel simbolo - e delegazioni di tutte le formazioni politiche che hanno guadagnato seggi nel nuovo Parlamento sono consultate dal Capo dello Stato prima che quest’ultimo dia l’incarico per la formazione del nuovo governo. Queste procedure sottolineano che il nuovo Presidente del Consiglio non è eletto direttamente dal popolo ma emana dal nuovo Parlamento. Il Presidente del Consiglio non è il capo assoluto nemmeno del governo ma ne dirige la politica generale, promuove e coordina l’attività dei ministri. Il Parlamento deve sostenere il governo nel senso che la sua maggioranza ne vota la fiducia all’atto dell’insediamento ma svolge pure una funzione di controllo dell’azione governativa con interrogazioni, interpellanze, mozioni, inchieste e commissioni e naturalmente con la revoca della fiducia.
Di fatto, dopo le ultime elezioni il governo in carica si trova in una posizione di forza senza precedenti sia nella prima che nella seconda repubblica per la stragrande maggioranza di cui dispone in entrambe le camere del Parlamento, e il capo del governo in particolare, per la forte “personalità” del premier nella scelta e direzione dei suoi ministri. Ciò è potuto accadere non solo per il voto degli elettori ma anche per la legge elettorale, quella votata alla fine della legislatura 2001- 2006 dal precedente governo Berlusconi. La prima repubblica era andata avanti con il sistema proporzionale. Nella seconda si era avviato un cambiamento con un referendum, del 1993, che aveva promosso un avvio del maggioritario, pur restando il 25% di proporzionale. L’ultima legge elettorale varata per cambiare le regole del gioco pochi mesi prima di andare a votare, e la cui correzione il seguente governo Prodi, che ne ha fatto le spese, si è forse scordato di porre tra i suoi obiettivi iniziali, con il maggioritario rimesso da parte, i premi di maggioranza alle camere, le liste bloccate senza preferenze – per cui in certi collegi si può far eleggere chi si vuole - lo sbarramento al 5% ci ha consegnato un Parlamento povero di voci dove, di fatto, il governo può fare quel che vuole. E’ ricomparso addirittura Licio Gelli ad incitare il governo a fare quello che vuole, con la maggioranza che ha! Di fatto è potere assoluto.
Occorre dunque riflettere che un sistema parlamentare come quello italiano può essere mortificato nella sua essenza dinamica da una legge elettorale incongrua.
In un sistema che si dice parlamentare, nella scelta, seria, tra maggioritario e proporzionale, la funzione viva del Parlamento non deve mai venir meno.
Ci resta la pubblica opinione. Per esprimere critica e dissenso in maniera efficace. Oggi è il programma del governo sulla scuola a raccogliere un non gradimento trasversale degli italiani. La gente che non si lascia imbrigliare dalla politica spettacolo dei talk show sta attenta alla qualità della vita che le si prepara.

martedì 4 novembre 2008

L'arma del buonumore

Diario di bordo
Annotazioni precedenti: Alla finestra, Un’estate particolare.



Il viaggio questa volta è nella malattia. Una malattia sociale per la sua diffusione, il tumore al seno. Capita spesso di leggere sull’argomento, statistiche, linee guida della prevenzione e testimonianze delle donne che questo viaggio si sono trovate ad intraprendere. Il termine più usato è quello di lotta, e ad esso si associa spesso l’immagine delle amazzoni, anche per via della mutilazione più o meno estesa che dobbiamo subire. Personalmente quest’idea di donne guerriere, proprio ora che sto dentro la chemio, con i suoi attacchi di nausea e stanchezza, non mi aiuta. Forse dopo, quando si riprende la vita normale: ho letto di donne che poi hanno intrapreso una vita molto più attiva di prima, specie scegliendo uno sport da praticare. In questi giorni stanchi invece c’è un’arma leggera a portata di mano ed è un po’ di buonumore. Scoprirsi allegre nonostante tutto, contente di quel che possiamo fare nelle nostre giornate.

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