domenica 20 febbraio 2011

Unità d'Italia, il museo del Risorgimento al Vittoriano e chi è schiava di Roma

Per raggiungere la caffetteria sulla terrazza al Vittoriano, dopo aver visitato la mostra di turno, può accadere di seguire l’indicazione per il Museo del Risorgimento ed entrarvi ma mi dicono, coloro che frequentano le mostre del Vittoriano, che ciò accade raramente e quindi il museo resta poco frequentato. Noi che l’abbiamo percorso, reduci dalla mostra dedicata a Van Gogh, siamo rimasti perplessi perché è il museo stesso a sembrare un vecchio cimelio del tempo in cui fu progettato e realizzato e gli manca un intervento d’ammodernamento che pur non cancellando anzi mantenendo leggibile l’antica sistemazione ne faccia allo stesso tempo un museo vivo capace di dialogare con i visitatori contemporanei.

La luce che cade dai globi di lampadari d’epoca che pendono lontani, appesi a soffitti altissimi, è fioca quando arriva a noi e sulle cose esposte. I soldati piemontesi stretti intorno al generale Cialdini a cavallo – bozzetto in gesso – emerge a stento dall’oscurità al centro della sala grande. Non brillano tanto di più le luci che stanno ad illuminare le teche - quando non sono spente. Stanno addossate alle pareti, intorno al monumento per la battaglia di Castelfidardo, quelle con i cimeli dei quattro grandi del Risorgimento, Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele e con la poca luce si ha come l’impressione d’essere in una cripta, in particolare con le maschere mortuarie di Mazzini, dal volto smunto e scavato, e di Cavour, largo e pieno.
Di Garibaldi giubbe, calzoni e sciabole impugnate dall’eroe. Di Leopardi e Manzoni pagine scritte: fa un certo effetto vedere lettere firmate Alessandro Manzoni. Stanno bene questi letterati insieme ai quattro grandi nel pensiero politico e nell’azione.

Poi tanti altri cimeli, collezioni, set di oggetti personali sui quali però l’ombra e la polvere sembrano tessere un velo di dimenticanza e d’incuria. Fa specie che tra le spese per i festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia non si sia pensato di stanziarne per restaurare questo museo del Risorgimento nel cuore della capitale.
Stanno bene Leopardi e Manzoni accanto ai politici e agli uomini d’azione perché la lingua ci ha unito subito quando invece l’unità politica è arrivata così tardi che qualcuno ancora non riesce a comprenderla. E’ stato Dante Alighieri il primo a porre la questione della lingua e ad individuare che in essa era la nostra unione di fronte alla frantumazione politica.

Lingua, letteratura, analisi del testo, analisi logica e parafrasi che dovremmo imparare sui banchi di scuola. Dice l’inno di Mameli:

“Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò.”

Corregge Roberto Benigni:

“Non è l’Italia che è schiava di Roma, è la vittoria.
Umberto, è la vittoria. Umberto, il soggetto è la vittoria”

( dal Festival di Sanremo, rivolgendosi ad Umberto Bossi)

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