mercoledì 12 gennaio 2011

Fiat: capire l'Italia a Torino

Ancora una volta, l’Italia guarda a Torino, capitale mancata, e alla Fiat, quest’ultima non come la fabbrica degli Agnelli o dell’ad Marchionne ma come tutti-noi, la società italiana, specchio dei suoi problemi e delle sue contraddizioni: della coesione e della rappresentanza, della democrazia e delle regole, del vecchio e del nuovo che il Paese deve affrontare in un momento delicato.
E, leggendo in contemporanea, come mi succede, il Tolstoj di Guerra e Pace, non sarà il capo o il genio di questo momento, non sarà Marchionne, il fattore decisivo, saremo, quantanche inconsapevolmente, tutti-noi.
Dal canto suo Marchionne da Detroit batte il pugno sul tavolo e dice che se n’andrebbe ma poi aggiunge che auspica il cambiamento e questa parola magica per un Paese vecchio che non sa mutarsi ci conquista.
Capire l’Italia per cambiare, avevamo detto. Non possiamo tornare agli anni sessanta, alle contrapposizioni di quel periodo in fabbrica e nella società perché le condizioni sono cambiate; sarebbe evidente ma c’è chi spinge per farci ritornare indietro, quando oggi l’anello più debole è rappresentato dai giovani e dalle famiglie che hanno bisogno di sostegno, come emblematicamente denuncia il fatto di Piazza Grande a Bologna. Proprio dentro le famiglie disagiate si fanno oggi i sacrifici più grossi e proprio in un Paese dove tutti si riempiono la bocca della parola famiglia e più scarse sono le misure d’assistenza nei suoi confronti. Ancora una volta è l’individualismo becero a prevalere.
In altri paesi europei, negli Stati Uniti e nel Canada, i sindacati hanno preso strade diverse dalla sola difesa del salario e dell’orario di lavoro, evidentemente con una minor diffidenza ideologica verso il capitale e l’azienda, da noi mera controparte. Così oggi gli operai di quei paesi sono più motivati ai sacrifici perché se l’azienda cresce, oltre il salario, sono compartecipi della ripresa e sanno d’investire per il futuro dei loro figli.
Ma noi possiamo ancora cambiare.

giovedì 6 gennaio 2011

Befana: la festa de noantre

Oggi veline, modelle e bellone qualunque potete andare voi a riporve: è la festa de noantre, delle befane.
Quelle che ironicamente sono “più belle che intelligenti”, che se ne fregano del digiuno per restare snelle e c’hanno le scarpe rotte e le borse scucite.
Veniam di notte perché tutto il giorno fatichiamo e la notte siamo insonni per la stanchezza e i pensieri, noi che i sacrifici li facciamo da sempre, anche senza contratto sindacale.
Siamo noi che teniamo il mondo, vecchie e pur giovani: eterna forza femminile, che rigoverna il camino quando tutti sono andati a dormire, e rattoppa il mondo.

mercoledì 5 gennaio 2011

Il vuoto delle vacanze natalizie

Da Natale alla Befana, una lunga vacanza di coloro che attraverso i media, politici, giornalisti e intrattenitori, incombono sul nostro quotidiano. Coloro che per noi pensano, commentano e giudicano, si prendono tutti, a destra come a sinistra, trasversalmente come si suol dire, un meritato riposo e molto probabilmente confortevole e lussuoso. Pare che lì, nei posti soliti delle vacanze, poi, alla fine, si rincontrino tutti tra di loro e a noi gente comune giunge ogni tanto qualche eco del loro pensiero.
In questa solitudine in cui ad un tratto ci sorprendiamo, con solo film da vedere alla televisione, ci sentiamo un po’ come i bambini lasciati soli con i giocattoli, che ad un tratto si accorgono che i grandi sono andati di là, in un’altra stanza a farsi gli affari loro.

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