domenica 28 marzo 2010

Daniele Luttazzi: quando c'è un blocco ideologico alla comunicazione

Naturalmente non è solo una questione di educazione, di bon ton, ma qualcosa di molto più profondo: l’esclusione della volgarità, che impedisce la comunicazione.
Ancora molto dibattuto l’intervento di Daniele Luttazzi a raiperunanotte, apprezzato da molti che si sono pure divertiti e hanno riso, incomprensibile per altri che per l'appunto non hanno riso. E siccome la risata è una di quelle cose genuine che non s’inventa e richiede la partecipazione del corpo e dello spirito, è stata come uno spartiacque tra due categorie di persone e chi critica l’intervento di Daniele perciò sente – o fa mostra di sentire - di aver perso qualcosa anche se non capisce cosa.
Costoro – quelli che non hanno riso – hanno escluso la volgarità. Anche loro non possono non compiere nella loro vita atti volgari, come cacare – fare le feci - quasi tutti i giorni, ruttare a volte, mettersi, per sbaglio, le dita nel naso, forse in queste volgari occasioni dissociandosi, il corpo da una parte e lo spirito dall’altra. A letto poi chissà quante porcate, magari molte di più di quante verrebbero in mente alle persone volgari. Ma tutto ciò è secretato. Non se ne parla o se sì solo in contesti molto riservati, giammai proprio giammai alle platee. Ecco sì costoro applicano una censura.
La loro esclusione della volgarità è diventata un blocco ideologico – pensano di far parte di una élite… - e di fatto un blocco nella comunicazione: se un messaggio è trasmesso attraverso la volgarità non lo accettano anzi, ancor più profondamente, per loro è diventato incomprensibile.
Per questo apprezziamo Daniele Luttazzi che usa la volgarità come satira contro questo potere, chè sostanzialmente volgare, e come martello ideologico.

giovedì 25 marzo 2010

raiperunanotte


Siamo per la libertà d’espressione: che le opinioni contrarie, il dissenso e la satira possano continuare ad alimentare il nostro spirito critico e salvarci dall’idiozia.

Una pagina di storia americana: la riforma sanitaria approvata

La prima formulazione della riforma sanitaria, firmata da Barack Obama il 23 marzo 2010, si deve a Theodore Roosevelt, presidente dal 1901 al 1909, durante la campagna elettorale del 1912. E non è un caso. Negli anni Novanta dell ‘800 ci fu un momento di crisi economica dovuta, come oggi, ad un capitalismo finanziario sregolato che, come pure ai nostri giorni, faceva sì che alcuni ricchi e potenti aumentassero le loro ricchezze a danno dei rimanenti. Gli storici annotano che l’America, pur nell’imperfezione della sua democrazia, seppe allora reagire imponendosi nuove regole che tutelavano l’insieme dei cittadini, contro i monopoli, a protezione dei consumatori nei confronti degli alimenti e dei farmaci adulterati. In particolare fu dato il voto alle donne; invece la riforma sanitaria, che avrebbe dovuto garantire la copertura sanitaria di tutti i cittadini, non riuscì a passare. Oggi sappiamo che ci sarebbe voluto giusto un altro secolo.
E nella specularità con la situazione attuale, in cui il Paese si trova alle prese con una crisi economica gravissima, tanto da portare all’elezione del primo Presidente d’origine africana, che ha alzato la bandiera del cambiamento e vuole prioritariamente il rispetto delle regole della democrazia e l’introduzione di nuove, come appunto la riforma sanitaria, per la tutela di tutti i cittadini, c’è già una prima grande lezione che ci viene da questa pagina di storia americana, una lezione che evidentemente si ripete: proprio nei momenti di crisi il sistema americano trova le risorse per correggersi e migliorare.
Quello che anche noi dovremmo riuscire a fare, per uscire da una stagnazione storica dove mali perenni si aggravano e non si cerca di rimuoverli.
Certo anche la democrazia americana resta imperfetta e lo dimostra il fatto che con la riforma sanitaria che Obama è riuscito a strappare al Congresso le condizioni d’assistenza dei cittadini americani non sono ancora paragonabili a quelle degli europei. Mostra però d’essere vitale e di possedere grandi risorse.

D’altra parte ci sono ragioni storiche e una diversa mentalità che spiega il diverso stato della sanità negli Stati Uniti e in Europa. La maggior parte dei coloni che vi sbarcarono era protestante e un certo buon numero dovette essere d’ispirazione calvinista, con quell’idea del successo, espressione del nostro destino, che è un tema fondamentale del pensiero collettivo americano. In questa visione dell’esistenza rientra molto probabilmente anche la salute. Noi europei abbiamo invece maturato la concezione che la salute dei cittadini è un diritto e, mi sembra di poter dire, è un bene non solo individuale ma un bene comune, dello Stato come organismo; dunque la sanità è pubblica. E’ il figlio di Ted Kennedy, che volle fortemente questa riforma, Patrick, a dire dopo la vittoria che la salute è un diritto civile, è un diritto umano fondamentale, una sfida etica per la società americana. Lo dice per quegli americani cui invece fino a ieri, dal loro punto di vista estremamente individualista, era fin qui perfino sfuggito il significato economico-sociale delle malattie, ed il fatto che i malati portatori delle malattie di rilevanza sociale se lasciati a loro stessi finiscono per costare allo Stato molto di più che se possono curarsi prontamente, come faceva osservare il Presidente Obama nell’esporre le cifre della riforma.

Con la riforma la sanità americana continua ad essere finanziata dalle assicurazioni ma con tutta una serie di nuove regole. Ci saranno polizze obbligatorie per chi prima restava fuori dall’assistenza, circa trentaduemilioni di cittadini non così poveri da poter usufruire dell’assistenza diretta gratuita in caso di necessità ma nemmeno in grado di sottoscrivere una polizza, che entreranno in vigore dal 2014 perché lo Stato che vi contribuisce deve trovare i fondi necessari con nuove tasse; nel frattempo i malati potranno accedere ad un programma assicurativo provvisorio. Le compagnie assicurative non potranno più rifiutarsi di assicurare o liberarsi di un assicurato che si ammala gravemente, né stabilire un limite alle spese per un singolo paziente, come spesso erano solite fare. Restano per ora fuori dalla riforma gli immigrati non regolarizzati, l'assistenza nei casi di aborto volontario.

Nel firmare la nuova legge Barack Obama ha ricordato sua madre « che ha dovuto lottare con le compagnie assicurative persino mentre combatteva contro il cancro nei suoi ultimi giorni di vita». Nel suo provenire dalla middle class americana, per parte di madre, rispetto ai Kennedy o ai Clinton, sta forse oggi la forza di Obama. E’ la classe media nel centro della crisi e Barack conosce molto bene dove nascono i suoi problemi e nello stesso tempo è molto preparato per affrontarli; sa trovare il compromesso per raccogliere il risultato.
Ma la portata di questa riforma è ancora maggiore. E’ un esempio per il consesso delle Nazioni, come sempre quando la risposta alle crisi è nella direzione della solidarietà, di un reale progresso nel miglioramento delle condizioni umane. Buon lavoro Presidente!

giovedì 18 marzo 2010

La teoria del complotto

La lotta tra il bene e il male è l’esempio più assoluto e assolutizzante, metafisico e apocalittico di una polarità attraverso la cui lente interpretare la storia umana, ancor più la politica. Una lente che attualmente piace molto a chi ci sta governando. Che implica di parlare delle forze del male e disegnare una teoria del complotto per la quale le suddette forze del male si organizzano a danno degli innocenti. Nella storia passata e fin dagli albori, per la verità le accuse di complotto sono sempre state attribuite a gruppi marginali della società - in particolare ebrei, eretici e streghe dal Medioevo fino al ’700, e ancora gli ebrei nella storia più recente del secolo appena trascorso, sotto il nazismo - chiamati a fare da capro espiatorio in periodi di crisi, quali pestilenze, carestie e sconfitte in guerra; oggetto del complotto l’insieme della società. Oggi, nella particolarità italiana, la vittima designata del complotto sarebbe addirittura il governo, cioè il potere esecutivo, e tra i cospiratori, i membri del potere giudiziario. La crisi politica italiana dunque genera un’anomala teoria del complotto. Dietro quest’ultima, c’è in realtà un contrasto sempre più marcato tra i poteri dello Stato, stabiliti dalla Costituzione.
Anche dentro la nostra Costituzione ci sono delle polarità: poteri che si bilanciano, creati apposta perché uno non debba soperchiare sugli altri ma all’opposto ognuno controlli ed equilibri l’altro. Così i Padri costituenti, nel momento della ricostruzione, dopo che il Paese era passato attraverso la dittatura e una nostra guerra civile dentro il conflitto mondiale, hanno creato il congegno pressochè perfetto di una moderna democrazia parlamentare. Perfetto in specie dal punto di vista della sua tutela basata per l'appunto sul bilanciamento dei poteri. Ecco perché i poteri possono anche discutere tra loro ma il contenzioso deve comunque ricomporsi, e ognuno deve essere libero di agire nelle sue competenze, mentre nessuno può prevalere su l’altro, per il bene della democrazia, cioè dello Stato, dell’insieme di tutti i cittadini.
Proprio l’equilibrio dei poteri com’è stabilito nella Costituzione s’oppone perciò alla teoria di oggi del complotto. Ma ci sono altre polarità che nei secoli, e ormai nei millenni, s’alimentano nella Penisola. Il nostro Paese culla di genti diverse che mantenevano la loro identità è stato perciò la terra del particulare, dell’individualismo. L’interesse particolare si è così trovato in molte occasioni ad opporsi fortemente a quello comune. Forse per questo i romani compresero così bene il senso dello Stato, di quella res pubblica che occorreva mettere davanti agli interessi del singolo se si voleva che Roma esistesse: sapevano troppo bene quanto pendessimo dalla parte opposta. La storia romana e quella seguente può essere vista come un dibattersi tra questi due poli, una lotta in cui troppe volte ha vinto il particolare.

Un’altra opposizione che ritroviamo dentro la storia romana ma che doveva riproporsi più volte in momenti critici è quella sottesa al contrasto tra Senato e Imperatore. Il Senato a rappresentare l’alleanza, il patto sociale tra le classi dei cittadini e le regole da rispettare e l’Imperatore, quando decideva d’opporsi od ignorare il Senato e le regole, a basarsi sul favore diretto del popolo.

La democrazia moderna è anzitutto la democrazia delle regole perché sono le regole che garantiscono l’uguaglianza dei cittadini e non c’è altro modo. Chi pensa di sottrarsi alle regole comuni perché ha il favore - : la maggioranza dei voti – del popolo scivola verso l’imperator.

mercoledì 3 marzo 2010

L'Italia decentrata

Capire l'Italia. L’abbandono dei centri storici, del resto, è un processo da lungo tempo in corso anche senza terremoto: nel modo più banale, nei piccoli centri, ad esempio, è accaduto e continua ad accadere che la costruzione di nuove abitazioni, palazzine e villette a schiera, muova i residenti a vendere quei terreni che un tempo avevano dedicato all’agricoltura, e, inneggiando al progresso edilizio, comprarsi la loro quota di cemento. I paesi si spostano così fuori, oltre le porte e le mura, qualche volta rimaste fedelmente in piedi, ma per chi? Per nessuno. Non si accorgono i residenti, ora nelle nuove e certo più comode case, di essere anche loro un popolo migrato, che con il vecchio centro dimenticato hanno smarrito anche l’ identità e l’anima. Non s’accorgono d’aver perso il nesso fondamentale tra struttura urbana, socialità e vita civile, nei nuovi conglomerati di case dove non ci sono più punti di riferimento come erano le piazze e i monumenti dell’antico abitato, che avevano perciò la funzione di riunire e dare significato. Si sta ognuno nelle proprie case, anonimi e isolati.
Tutto al più dentro le case si diventa popolo televisivo, uniti dalle televisioni, soggetti passivi della partecipazione. E’ questa l’Italia decentrata! Proprio l’opposto di quel che sembrava dovesse avverarsi, non l’Italia delle regioni e dei comuni ma un popolo tutto uguale e amorfo. Qui sta l’ipocrisia leghista. E anche l’equivoco perché la forza dell’Italia sta sì nelle sue molte tradizioni ma non da opporre l’una alle altre: l’identità comune passa attraverso quelle particolari - e invece queste si vanno perdendo - ma come cittadini, muovendo da queste, dobbiamo arrivare a riconoscere i valori comuni della Nazione.Un altro aspetto importante che deriva dall’Italia decentrata è che si va perdendo la nozione di ambiente esterno. Tendiamo ad essere consapevoli solo dell’ambiente che ci circonda: la casa, il luogo di lavoro, l’agglomerato urbano che si estende intorno a noi. Se passeggiassimo facendo visita agli antichi borghi dimenticati forse potremmo accorgerci, come sicuramente accadeva ai nostri antenati, che nel borgo si entra per una porta e poi si esce per un’altra, e così è ben delineato ciò che è dentro e ciò che è fuori: la città, lo spazio prettamente umano, e la campagna, cioè la natura, di cui una parte ancora governata dall’uomo e una parte ancora – dove? vai a trovarla oggi- lasciata libera, quel paesaggio che non guardiamo più e potrebbe dirci tante cose.

3(continua)

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