giovedì 24 giugno 2010

Il mondiale degli allenatori

Maradona e Lippi.
Il nostro allenatore s’è preso tutta la colpa e ha fatto bene perché aveva puntato sul gruppo piuttosto che sulla qualità dei giocatori. Già, ma ce n’erano di giocatori di qualità che non sono stati chiamati? Un Totti, un Cassano almeno.
Maradona ha sempre detto che il giocatore di talento “può sempre fare la differenza”. E ha impostato la sua Argentina su Messi.
Da qualche mondiale a questa parte in Italia, invece, i giocatori di genio sono anche “maledetti”: dipinti come caratteri difficili che minano la coesione della squadra e creano solo problemi all’allenatore.
Ma il gioco del calcio è bello anche per questo, per l’opposizione oppure la sinergia tra il gruppo e le grandi individualità, ancora una volta metafora della vita.

lunedì 21 giugno 2010

José Saramago

Ora che non è più sulla terra José Saramago sarà tornato a Lisbona come Pessoa e come Ricardo Reis avrà preso alloggio in un albergo della città vecchia vicino al porto; forse ci sarà un altro che incontrerà il suo spirito e ce ne racconterà perché quando tutto è finito la sequenza temporale di ciò che è stata la nostra vita si distrugge e si ricompone nel pensiero di chi ci ricorda in un lavoro opposto a quello del biografo in quanto chi ricorda cerca significati.

Verso l’Italia Saramago è stato interprete di un fiero ed acceso antiberlusconismo, che ha animato diverse pagine del suo blog, O Caderno, poiché, nato nel 1922, avendo vissuto la dittatura portoghese, è rimasto particolarmente attento agli accenti di un populismo autoritario.

giovedì 17 giugno 2010

Capire l’Italia: quale cultura?

Se i nostri centri storici affondano perché hanno perso l’identità o sono abbandonati, o colpiti dal sisma come a L’Aquila, qual è il modo per recuperarli?
Quelli delle città più grandi o importanti hanno perso l’identità da quando non sono più come in passato intreccio vivo di strati sociali, il palazzo del nobile accanto ai caseggiati dei poveri, le strade che appartenevano alle arti e ai mestieri, come via dei chiavari o dei cappellari a Roma. I poveri sono stati a suo tempo sfrattati e respinti nei quartieri periferici e nelle borgate. Le case dei grandi centri storici sono diventate allora il luogo della speculazione immobiliare, appannaggio di ricchi uomini d’affari, personaggi famosi e quali regali delle cricche. I centri minori invece sono spesso stati lasciati dai loro proprietari per case più nuove e confortevoli costruite fuori dagli antichi perimetri.
Proprio nei piccoli centri qualcuno ogni tanto manifesta il desiderio di recuperarli. Come? Organizzando una pasta e fagioli, o fagioli e salsicce, comunitaria per i vicoli deserti. Oppure ricordando il borgo di pescatori, magari appendendo le reti e via dicendo.
Non è questo il modo, non è richiamando ciò che era e non è più, non è rispolverando le piccole tradizioni o riti ormai morti, semmai ci furono, come fa la Lega in riva al Po o ci s’inventa di sana pianta nei comuni lombardi.
Se nei nostri centri storici è nata la nostra identità, quel sacro luogo, che gli antichi segnavano e su cui la città sarebbe sorta, da cui tutto è partito, dobbiamo volare più in alto verso un più alto senso di attività culturali, per il quale la cultura non è richiamo sterile al passato ma progetto per il futuro. Allora i piccoli come i grandi centri, restaurati e ripuliti, devono diventare proprio loro i luoghi della cultura: biblioteche, musei, aule d’incontro e convegni non avranno mai miglior sede che dentro i centri storici. Quanto bene può fare per i giovani una biblioteca, un cineforum ed altro dentro il borgo antico, piuttosto della faciolata.
Negli antichi borghi, nei centri storici delle antiche città sono le nostre radici e da essi possiamo trarre il maggior senso civico e aspirare alla cultura nel senso più alto, come sete di conoscenza e di promozione umana.

martedì 15 giugno 2010

A sinistra del PD

Non mi piacciono, l’ho già manifestato nel post precedente, gli attacchi a Beppe Grillo e a Daniele Luttazzi, che sono mossi specialmente a sinistra nel PD. Un tempo si diceva che a sinistra del PCI non c’era niente, ma ci furono le fuoriuscite dal partito e c’era ancora nell’ultimo governo Prodi la sinistra radicale, la cui eliminazione è stato il risultato più cospicuo della caduta di quel governo e della nascita del PD. Nel partito democratico di oggi accanto a Berlusconi si pongono, spero non unanimemente, per assimilazione proprio coloro che sono stati capaci di fare contro Berlusconi l’opposizione più dura e costante. Vi vogliono vedere lo stesso populismo - berlusconismo- nel caso di Grillo, la stessa questione morale, “ha mentito”, nel caso di Luttazzi; dimodochè anche a sinistra del PD trionfi il deserto. Poco male se così Berlusconi ne trae vantaggio.

domenica 13 giugno 2010

Circa Daniele Luttazzi

Anche L’Unità continua ad attaccare a fondo Daniele Luttazzi. Evidentemente dà molto fastidio pure a sinistra. La direttrice De Gregorio si professa sua fan ma poi non manca di sparare a zero sul “cadavere” del comico, con perfetta e solita autoreferenzialità. “Nessuno mi ha chiesto ”, si è lamentato Daniele, mentre invece L’Unità l’avrebbe fatto. “E noi siamo nessuno?” si chiede infatti De Gregorio, perché il suo giornale le domande gliele ha fatte, ma mica Daniele è stato contattato per essere intervistato, no. Gli hanno fatto sul giornale dieci domande come Repubblica a Berlusconi e a quest’ultimo, infine, nell’intervento conclusivo, la direttrice l’ha associato. Conosciamo la canzone: anche Beppe Grillo sarebbe infine, nel manuale di certa sinistra, come Berlusconi, ah, ah.
Begli amici nascosti, bei fans. Viene proprio da dire: "Dai nemici mi guardi Iddio che dagli amici e dai fans mi guardo io".
Viviamo in tempi, qui in occidente, in cui la firma, l’originale, il copy right, sono tutto ma nell’arte non è detto e non è in ogni caso sempre stato così. E se oggi la firma è tutto, tutto oggi si discute nei termini piuttosto riduttivi ed insignificanti se si sia copiato o no. Un notevole gap culturale.
Quando invece la citazione e l’appropriazione nella propria opera di temi già svolti è in realtà condizione, a diversi livelli di riconoscibilità a seconda della materia, imprescindibile dell’elaborazione umana.

mercoledì 9 giugno 2010

La ragione e il bavaglio

La costanza della ragione, si diceva. L’iter di questo ddl sulle intercettazioni la mette alla prova. L’opinione pubblica contraria, ma anche la critica del Quirinale hanno condotto l’esecutivo ad apportare delle modifiche, si è anche pensato ad un certo momento che la legge sarebbe stata lasciata cadere e invece no, essa risorge blindata, pronta alla fiducia, e con cambiamenti modesti rispetto alla sostanza e quasi ridicoli nella loro attuazione, come la concessione di proroga di tre giorni in tre giorni con decisione di una commissione distrettuale di giudici che avrebbe a sua volta tre giorni di tempo per decidere. Com’è stato osservato, per mandare qualcuno all’ergastolo basta un giudice solo!
Ai finiani questi cambiamenti stanno bene: allora non era per Roma, nel senso di Tacito, cioè per lo Stato, per il bene comune, come sarebbe potuto essere per le parole usate dal presidente della Camera, che hanno combattuto ma solo per loro stessi ed il loro peso dentro il partito. Impariamo dunque, o reimpariamo, che dobbiamo sempre aspettare come le cose si sviluppino e concludano, per comprenderne il senso.
Resta dunque all’opposizione e all’opinione pubblica che è contraria di spendersi contro questa legge perché come si diceva la ragione non lascia, segue lo svolgimento delle cose e prosegue a contrastare ciò che non può approvare.
Per convincere gl’italiani che questa legge se la meritano s’è fatto appello ancora una volta ad un’Italia cialtrona, quella che sbatterebbe il mostro in prima pagina, che non saprebbe far di meglio che spiare gli onesti cittadini. E a chi gliene frega qualcosa di quello che fai tu onesto cittadino, salvo coltivare le tue paure, le tue fobie?
Ma non si può mercanteggiare la tutela della privacy, per la quale basterebbero alcune semplici misure adeguate, con la libertà d’informazione, non si possono togliere ai magistrati fondamentali strumenti d’indagine e all’opinione pubblica la conoscenza dei fatti. Non possiamo pretendere di vivere in un mondo senza pericoli a prezzo della libertà, vecchio ricatto dei governi autoritari, perché il calcolo è sbagliato: il rischio che qualcuno esponga ingiustamente la nostra privacy, e peggio ancora ci accusi ingiustamente di un delitto non può mai essere del tutto eliminato ma certamente il rischio sarà in realtà maggiore dove c’è meno libertà e democrazia, perché dove c’è la libertà ci saranno anche maggiori strumenti di difesa, perché se il cittadino sarà colpito nel silenzio chi potrà aiutarlo?
Quindi il valore della libertà è il più grande ed è attraverso la libertà d’informazione che possiamo arrivare alla conoscenza dei fatti e esercitare il nostro libero pensiero; occorre difendere la Costituzione da quelle leggi che con la scusa di farci stare più liberamente nel nostro cortile c’innalzano tutt’intorno un muro.

mercoledì 2 giugno 2010

Le smanie per il federalismo e la festa della repubblica

I gonfaloni delle regioni d’Italia sfilano per via dei Fori Imperiali nel giorno della festa della Repubblica ma i ministri leghisti sono altrove. Il più importante, il ministro dell’Interno Maroni, da qualche anno preferisce la celebrazione prefettizia in quel di Varese dov’è nato. La fronda leghista disdegna la capitale. Ma ci sono dei momenti in cui la capitale rappresenta la nazione.
Qual è allora il segno del federalismo predicato al di là del Rubicone, se non una favola disgregatrice, per di più costosissima in questi tempi durissimi per i conti pubblici, da opporre all’unità dello Stato?


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