venerdì 16 marzo 2012

“Il giovane Montalbano” colpo di genio del vecchio Camilleri

Sono pochi i casi nella letteratura in cui i romanzi successivi tornano indietro nella vita di personaggi che sono diventati familiari perché protagonisti di una serie di storie pubblicate. Non a caso ci viene in mente il commissario Maigret del quale Simenon intercala alle storie correnti alcune di un commissario all’esordio o che ritorna nei luoghi della sua infanzia per darci alcuni nuovi elementi biografici sul personaggio. Il caso di Camilleri, però, è molto più eclatante perché, a detta del suo stesso autore, Salvo sembrava avviato alla pensione e al silenzio, e invece, come un coniglio estratto dal cilindro,  è spuntato "Il giovane Montalbano".
Il noto commissario di Vigata ha in realtà, come del resto Maigret, un duplice esistenza letteraria e televisiva, e la televisione è il luogo dove più si coltivano le produzioni a puntate,  ma  è invece nel cinema che l’idea del prequel s’è finora imposta come nel caso più celebre della saga di “Guerre Stellari” o  anche nella serie di Batman con “Batman Begins”; oltrechè nel fumetto: basti pensare alle storie di Superman giovane ambientate nella città di Smallville.
D'altra parte, di commissari a puntate nella nostra televisione se ne sono visti tanti ma solo Montalbano è, lui con gli altri personaggi e il  mondo  che gli firriano intorno così ben caratterizzati da poter sostenere il prequel. Ma il bello non sta solo nella trovata: è che effettivamente c’è del nuovo e i racconti del giovane Montalbano arricchiscono i personaggi già noti. Così ci facciamo capaci che le difficoltà ad accasarsi  di Salvo stanno pure in un irrisolto rapporto col padre, forse pure il suo gusto per il cibo; si delinea più esplicitamente la sicilianità di tutti, di un Mimì Augello con la visione di masculi e fimmine isolana, la teatralità, l’idiosincrasia e il capriccio. Insomma ci sembra di capire meglio e ci pare perciò che la mano dell’autore nel dipingerli vada anch’essa ringiovanendosi, facendosi cogli anni, guarda un po', più libera e sciolta.

giovedì 8 marzo 2012

Artemisia

Per l’8 marzo mi piace ricordare per me stessa le mie donne, quelle che non ci sono più e quelle che sono vive.
Per tutte voglio ricordare Artemisia, la pittrice, la figlia di Orazio Gentileschi, quella stuprata da un altro pittore, Agostino Tassi, che le insegnò la prospettiva, quella che ha  dipinto il più feroce e calmo dei Giuditta che uccide Oloferne.
Ancora oggi  per le donne non è facile, anche se è diventato necessario, “uscire di casa” e armonizzare lavoro e famiglia, invece ad Artemisia è riuscito perché suo padre era un grande pittore e lei l’unica tra tanti fratelli maschi ad ereditare disposizione e talento da diventare fin da piccola la principale aiutante nella bottega, subito bravissima nel preparare i colori, cosa fondamentale nella pittura “di valori” dei  caravaggeschi. Di suo Artemisia ci mise la volontà e l’applicazione rifuggendo quella pigrizia femminile che maschera  le difficoltà ad interpretare un proprio ruolo nella società che non sia  quello di moglie e madre. Artemisia non si tirò mai indietro, e le cronache, le ricerche sulle committenze, le lettere ci delineano una vita intensa con molti figli, di cui due femmine che sposò con una buona dote, protettori e amanti eppure sempre strenuamente dedita alla pittura.
L’artista del Seicento anche se può disporre liberamente di sé e delle sue creazioni deve la sua fortuna alla committenza di opere da parte di principi e signori che da un lato lo trattano alla stregua di un servitore  ma al contempo ne stabiliscono il prestigio e l’agio. Di fronte alle corti e alla concorrenza dei colleghi l’artista deve sapersi muovere con destrezza e pubblicizzare se stesso e il proprio lavoro. Ecco allora che nelle sue tele Artemisia riprodurrà spesso se stessa. Ancor prima era stato Orazio a dare ai suoi personaggi femminili il volto e le sembianze della figlia, come nell’affresco al Casino delle Muse, Palazzo Rospigliosi a Roma, dove aveva animato di musici l’architettura prospettica d’Agostino Tassi e dove tutte le figure femminili avevano la faccetta graziosa e paffuta d’Artemisia. Come se già allora il genitore consapevole volesse dichiarare: - Eccoci qui Gentileschi padre e figlia.-. Come in effetti titolerà nel 1916 Roberto Longhi in un saggio importante per la ricerca degli esiti del  caravaggismo in Europa, proprio attraverso l’opera di Orazio Gentileschi e di sua figlia: - l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità.-. Artemisia che instancabilmente riproduce se stessa sulla tela vuole perciò coscientemente affermare e pubblicizzare il suo essere donna e vera pittrice: - E farò vedere, scrive, a V.S. Ill.ma quello che sa fare una donna.-.  E commentava il Longhi: - Così parlava a cinquantadue anni con vitalità veramente rimarchevole e simpatica, la signora Artemisia. -
Nella vita di Artemisia c’è un evento decisivo, lo stupro subito da parte di Agostino Tassi nel 1611, quand'era diciottenne. Il fatto venne denunciato un anno dopo, perché Tassi aveva promesso di riparare con il matrimonio, avendo però già moglie. La causa fu vinta dai Gentileschi ma in realtà furono loro a dover separarsi e lasciare Roma: Artemisia fu sposata in fretta ed andò a Firenze.
 Nel processo Artemisia deve confermare sotto tortura la sua deposizione: il suo racconto è crudo e preciso nei particolari della lotta corpo a corpo che la oppose ad Agostino. Tali crudezza e realismo verbali preannunciano quelle pittoriche delle tele di Giuditta che uccide Oloferne, l’una a Napoli, a Capodimonte, l’altra  agli Uffizi di Firenze, nelle quali nella faccia di Oloferne si riconoscono i lineamenti di Agostino e Giuditta è Artemisia. Pare che a Firenze la tela risultasse sgradevole alle granduchesse e finisse in uno dei luoghi più oscuri di Palazzo Pitti; ricordando questo quadro con delle amiche,  proprio l’altro giorno, da due di loro  è stato descritto come brutto, orribile. La crudezza d’Artemisia colpisce ancora, ma qui arte e vita si mescolano incredibilmente. Un regolamento di conti, certamente, ma anche la concezione dell’artista: l’osservazione del vero e il naturalismo, questo filo rosso da Caravaggio ai Gentileschi  a …Galileo, che a Firenze fu amico d’Artemisia.
Osserva il Longhi: - ed è perfino riescita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di  due bordi di gocciole  a volo lo zampillo centrale! Incredibile, vi dico! -.
Altro che il Ris  di Parma sulla scena del crimine!
Gentileschi padre e figlia

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