venerdì 4 luglio 2008

Dov'era Tarquinia

Si risvegliarono in un agriturismo vicino al mare, quel mare che Tarquinia dominò da un po’ più da lontano di Cere. Ciò che più rimase nei loro occhi di quel viaggio a Tarquinia, sopra tutto quello che videro al museo, e ci rimasero tre ore, fu la vista del pianoro dove dovette sorgere la vera Tarquinia etrusca, esattamente di fronte alla città attuale.
Questo pianoro era deserto e perciò splendido nell’aperta campagna, si opponeva con la sua maestosa nudità alle torri e i campanili della città attuale, la quale stava proprio su quella che fu invece la città dei morti della Tarquinia etrusca.
Sarà stato perché era primavera, e le terre intorno erano di tutti i toni del verde, su cui sembravano disegnati i grigi archi dell’acquedotto medievale – finalmente non c’era una casa intorno - e i finocchi selvatici, alti ai bordi della strada bianca che conduce alla Civita, sembravano, con le loro gialle ombrella fiorite, lampade già accese nel tardo pomeriggio. Il mare in fondo all’orizzonte. Sarà stato per quel senso d’infinito che dà proprio il pensare, forse per quella faccenda degli opposti che si richiamano, a qualcosa di grande che non c’è più, che appunto è finito.
Dopo Tarquinia però sentirono la necessità in qualche modo di fare il punto della situazione, tra pappardelle al cinghiale e bistecche rigorosamente ai ferri.
La visita al museo era stata faticosa, per la quantità delle cose viste ma aveva sciolto alcuni nodi. Quel giorno a Tarquinia c’era la fiera perché ricorreva una festività e la strada principale che sale verso il belvedere era stipata di bancarelle. Rispetto ai mercatini settimali paesani e cittadini, c’era una gran quantità di banchi di cibarie, con salumi formaggi, e dolciumi, che si dichiaravano nelle loro insegne “siciliani” – compaiono sempre dolci “siciliani” nelle pasticcerie dell’Etruria meridionale - umbri, marchigiani, abbruzzesi. Un compendio insomma delle italiche genti con cui gli etruschi commerciavano. Anche il museo aveva subito l’assalto di una moltitudine di persone, intere famiglie coi bambi piccoli che invadevano le logge di Palazzo Vitelleschi.
- Ora abbiamo compreso la differenza che corre tra le anfore greche e quelle etrusche - osservò Daniele riandando col pensiero a quell’interminabile serie di vetrine che le contenevano. L’esattezza “razionale” delle prime, l’arruffatezza insopprimibile della figurazione nelle seconde, con il prevalere di teste, e l’esuberanza di qualche fogliame che interferiva spesso con le scene mitologiche rappresentate.
- E avevano perfino loro artigiani nelle fabbriche greche perché le facessero secondo il loro gusto!
Al piano terra del museo di Tarquinia nelle prime sale c’è l’intera ricostruzione di una tomba e quindi gli elementi archittetonici caratteristici delle tombe più antiche orientalizzanti, sfingi e quei lastroni a scaletta che dovevano forse servire da porte ma anche da scale se poggiati inclinati, con i motivi decorativi propri dell’orientalizzante. Poi si succedono sale colme di sarcofagi, ma questi sono più tardi, d’età classica ed ellenistica, perché nelle fasi precedenti della storia etrusca i defunti erano, generalmente, posti nelle tombe distesi sui letti di pietra. Forse in particolare per le donne, qualche volta i letti erano scolpiti entro le urne di sarcofagi. E sui sarcofagi i defunti erano dapprima effigiati sdraiati, appena un po’ di fianco, poi nella cosiddetta posizione recumbente, cioè come quella dei banchettanti nel triclinio: ultima, contratta, evocazione, insieme ai permanenti corredi di anfore e coppe, dei fastosi banchetti funebri effigiati nei tempi più antichi, e poi non più. Sui lati dei sarcofagi, infatti, le scene ora rappresentate sono quelle mitologiche, in specie mischie di battaglie. Ci sono sempre i leoni che azzanano i cervi, simbolo della morte ma anche dei due poli della dinamica della vita. C’è sempre una simbologia da rintracciare nelle figurazioni etrusche! Poi, proprio alla fine, le scene sui sarcofagi rappresentano solo e sempre lunghi e tristi cortei che accompagnavano il defunto.

(continua)

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