venerdì 4 luglio 2008

Sutri, Minas Tirith dell'Etruria meridionale

Dalla civita etrusca di Sabate, ora occupata da una sommità boscosa, terreno incolto e qualche villetta costruita, continuarono la strada verso nord che, secondo le indicazioni ricevute, li avrebbe portati a Sutri, questa volta l’odierno tracciato coincidendo con l’antico etrusco.
A Sutri entrarono dalla porta a nord, sulla cima del colle, ma idealmente la ripercorsero uscendo e rientrando dalla porta vecchia giù sulla via Cassia, antichissima, coi blocconi di tufo etrusco–romani e l’immagine di Saturno effigiata, araldico simbolo della città.
- In questi luoghi – pensò Cristina – ha ancora un significato materiale l’espressione di varcare i confini della città.
Ne risalirono le rampe fino al vescovado, gustandone l’intatta struttura urbana, una tufacea Minas Tirith dell’Etruria meridionale. Porta d’Etruria, la definirono i romani, espugnandola.
La notte alloggiarono nelle vicinanze. Cristina sognò di trovarsi ancora a Veio ed imbruniva. Nel sogno si erano seduti sull’erba e poi allungati, come in un sarcofago, avevano sentito l’umidità della terra. Ma non erano soli, come nella Death Valley di “Zabrinskie point” c’era un numero indefinito di coppie che, intorno a loro, si rotolava nel parco di Veio.
L’indomani, la strada ripresa si snodava agilmente tra l’emergenza di Sutri, a destra e il mondo silente della dimensione archeologica sul lato sinistro, l’anfiteatro, tombe e cunicoli scavati nella roccia. Guadagnarono poi la salita di Capranica.

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