sabato 5 luglio 2008

Appendice

Seguito del racconto di Cristina iniziato nel parco dei mostri di Bomarzo.

La sala destinata alla riunione era bianca come il suo arredamento. I convenuti discutevano tra loro in piccoli gruppi. Solo i grandi saggi di Kronos, con le loro bianche zanne ricurve e la proboscide nervosa avevano già occupato il loro posto. La delegazione terrestre, tutta di sesso maschile, sembrava intrattenersi piacevolmente con le rappresentanti femminili di Syrenoid. I grandi insetti e ragni della galassia di Artropoidea stavano un po’ isolati dal resto come sempre, eppure – pensò Thefarie Velianas – il loro modello di sviluppo restava tra i migliori dell’universo.
Il presidente della conferenza intergalattica universale battè il grande martello, un colpo che parve a qualcuno dei partecipanti assordante, come si fosse aperta la porta dell’al di là: così risultò quel colpo alle orecchie terrestri, mentre sembrò essere appena avvertito dagli altri. Ottaviano G. Kennedy, capodelegazione della Terra, ancora non aveva ben compreso lo scopo di quella convocazione straordinaria.
Fu data la parola al grande Mammut di Kronos, Elepharamesse, colui il cui sguardo più di chiunque altro nell’universo sapeva inoltrarsi nel passato e prevedere il futuro. Elepharamesse controllava quotidianamente i dati che giungevano a lui da tutte le galassie e da tutti i pianeti. Nell’ultimo mese galattico i dati provenienti dalla Terra lo avevano impensierito. Si era posto a studiare il caso e la preoccupazione si era trasformato in un allarme che aveva i caratteri dell’urgenza: la terra aveva i giorni galattici contati.
Il sorriso sulla faccia di Ottaviano G. Kennedy, andava spegnendosi: era vero che avevano in quel momento qualche problema energetico e di smaltimento dei rifiuti, come altre volte in passato, ma a loro sulla Terra non era sembrato così catastrofico, tanto da convocare il Consiglio Intergalattico! Sentì che lo sguardo scettico dell’assemblea era puntato su di lui, ed un brusio si sollevava. Elepharamesse si pose ad illustrare lo stato della Terra, mentre il presidente Thefarie Velianas accarezzava il manico del suo poderoso martello. I terrestri pregarono di non doverlo riascoltare.
La soluzione Asimov, dal nome del suo geniale inventore, si era rivelata ottima per appena trecento anni terrestri. Gli uomini avevano abbandonato la crosta terrestre, il loro cielo azzurro e le nuvole che erano state bianche, ed erano andati ad abitare nel sottosuolo. Un’unica enorme città sotterranea, stipata al massimo, e forme di vita comunitarie avevano consentito un enorme risparmio energetico ed un apparente ottimale riciclaggio dei rifiuti. Intanto però la superficie della terra si era riempita d’inceneritori. Il sistema stava collassando, qualcosa non aveva funzionato: i terrestri umani molto probabilmente avevano continuato a consumare troppo.
Non restava altro da fare, secondo Elepharamesse, che abbandonare il pianeta. Approntare in breve tempo una grande flotta spaziale su cui evacuare le specie viventi sulla Terra. Un grande viaggio, un destino migratorio improrogabile era nel futuro dei terrestri. L’assemblea discusse e approvò.
Smarrito, Ottaviano G. Kennedy che sulla Terra leggeva qualche volta un libro tramandatosi dai tempi più antichi, si scoprì a pensare stranamente ad un’arca di legno.
Il vice capo della delegazione terrestre si chiamava Ulisse Joyce. Era rimasto meno abbattuto dei suoi compagni alla grave notizia. Guardò con rinnovato interesse verso il banco, o meglio la piscina, dove erano adagiate le ragazze di Syrenoid. In fondo – pensò – anche sulla Terra la vita era cominciata dall’acqua.

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