Ma il ricordare con cui intessere il nostro presente è forse un’altra cosa. Il lasciar affiorare i ricordi, essere predisposti ad accoglierli quando ciò accade, che per le misteriose alchimie tra la nostra mente e il mondo circostante non possiamo prevedere – un odore, una musica o un’immagine o altro - e non cacciarli via come cose oziose e di nessun senso, forse richiede proprio il distaccarsi un poco dal quotidiano per poi ritornare nel presente con maggiore consapevolezza.
La Arendt che in un suo saggio si chiede “Dove siamo quando pensiamo” dice che siamo in un non-luogo, o meglio in una zona di confine e temporalmente siamo proprio in quel presente che è al confine tra passato e futuro: cioè è il nostro passato che ci struttura ed è la condizione per pensare il nuovo quando pensiamo.
Ma ecco quando pensiamo? se cacciamo i nostri ricordi come sciocchezze con un’alzata di spalle?
Ci sono poi altri aspetti profondi del ricordare. Il ricordare che produce il raccontare e dunque il raccontare per ricordare i morti e per richiamare l’eternità; per affermare la vita come fa Sherazade ne “Le mille e una notte”, ma ne ho già detto in altro post.
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