martedì 11 novembre 2008

Potere assoluto: l’anomalia italiana




Abbiamo da poco assistito alle elezioni americane, dove la forma di governo è presidenziale. Potere assoluto spesso si dice per indicare il grado dell’autorità che è consegnata dai cittadini nelle mani del Presidente degli Stati Uniti. Come nel titolo di un film di Clint Eastwood, che ne immagina alcune possibili degenerazioni.
Da noi non è così, o meglio non dovrebbe essere così, perché siamo una repubblica parlamentare. Anzi di parlamenti i padri fondatori della repubblica ne pensarono, per maggior sicurezza, due: la Camera e il Senato. Il nostro Capo del Governo non dovrebbe avere il potere assoluto. Nelle nostre elezioni si vota in primis il rinnovo del Parlamento – una forzatura verso il presidenzialismo nelle ultime elezioni è stata il porre il nome del candidato premier nel simbolo - e delegazioni di tutte le formazioni politiche che hanno guadagnato seggi nel nuovo Parlamento sono consultate dal Capo dello Stato prima che quest’ultimo dia l’incarico per la formazione del nuovo governo. Queste procedure sottolineano che il nuovo Presidente del Consiglio non è eletto direttamente dal popolo ma emana dal nuovo Parlamento. Il Presidente del Consiglio non è il capo assoluto nemmeno del governo ma ne dirige la politica generale, promuove e coordina l’attività dei ministri. Il Parlamento deve sostenere il governo nel senso che la sua maggioranza ne vota la fiducia all’atto dell’insediamento ma svolge pure una funzione di controllo dell’azione governativa con interrogazioni, interpellanze, mozioni, inchieste e commissioni e naturalmente con la revoca della fiducia.
Di fatto, dopo le ultime elezioni il governo in carica si trova in una posizione di forza senza precedenti sia nella prima che nella seconda repubblica per la stragrande maggioranza di cui dispone in entrambe le camere del Parlamento, e il capo del governo in particolare, per la forte “personalità” del premier nella scelta e direzione dei suoi ministri. Ciò è potuto accadere non solo per il voto degli elettori ma anche per la legge elettorale, quella votata alla fine della legislatura 2001- 2006 dal precedente governo Berlusconi. La prima repubblica era andata avanti con il sistema proporzionale. Nella seconda si era avviato un cambiamento con un referendum, del 1993, che aveva promosso un avvio del maggioritario, pur restando il 25% di proporzionale. L’ultima legge elettorale varata per cambiare le regole del gioco pochi mesi prima di andare a votare, e la cui correzione il seguente governo Prodi, che ne ha fatto le spese, si è forse scordato di porre tra i suoi obiettivi iniziali, con il maggioritario rimesso da parte, i premi di maggioranza alle camere, le liste bloccate senza preferenze – per cui in certi collegi si può far eleggere chi si vuole - lo sbarramento al 5% ci ha consegnato un Parlamento povero di voci dove, di fatto, il governo può fare quel che vuole. E’ ricomparso addirittura Licio Gelli ad incitare il governo a fare quello che vuole, con la maggioranza che ha! Di fatto è potere assoluto.
Occorre dunque riflettere che un sistema parlamentare come quello italiano può essere mortificato nella sua essenza dinamica da una legge elettorale incongrua.
In un sistema che si dice parlamentare, nella scelta, seria, tra maggioritario e proporzionale, la funzione viva del Parlamento non deve mai venir meno.
Ci resta la pubblica opinione. Per esprimere critica e dissenso in maniera efficace. Oggi è il programma del governo sulla scuola a raccogliere un non gradimento trasversale degli italiani. La gente che non si lascia imbrigliare dalla politica spettacolo dei talk show sta attenta alla qualità della vita che le si prepara.

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