giovedì 13 novembre 2008

Day Hospital

Diario di bordo. Annotazioni precedenti: Alla finestra, Un'estate particolare; L'arma del buonumore.





Aspetto il mio turno. Ho incontrato Giovanna, già compagna nel reparto di chirurgia. Lei ha già preso il suo cocktail di farmaci e non vede l’ora che la mandino a casa. Ci ritroviamo sedute nel corridoio con il cappello in testa - perché ormai siamo calve - il suo di panno grigio, il mio di lana colorata a righe, un po’ da rapper e un po’ anni trenta.
- Carino, l’hai fatto tu? – mi dice sua figlia. Giovanna è un bel po’ più grande di me, ha due figlie e i nipoti che sono dei ragazzi.
- Sì, ne ho fatti tanti, anche da casa e per la notte.
- Hum, un vero guardaroba! - . Ci scherziamo un po’.
Dal fondo del corridoio c’è una ragazza che avanza ma cammina male. Ha i jeans celesti, i capelli biondi tagliati sopra le spalle e uno zucchetto di lana sulla testa. E’ un’immagine chiara. Quando ci passa davanti mi accorgo che dei lacrimoni le cascano giù e le bagnano le mani.
- Quando tocca ai giovani… - borbotta Giovanna. Poi riusciamo a restare zitte per un pochino. Ci sono i genitori che l’accompagnano ma sono muti, come impotenti ed impietriti. Lei in questo momento è sola col suo dolore. Ripenso a quello che ho scritto e un’arma spuntata mi appare quella del buonumore. Qualcosa di superiore deve venire a sollevare l’anima che soffre.
Giovanna se n’è andata. Ora sto nella poltrona con il mio cocktail pronto. E’ venuta a tenermi compagnia mia sorella con una sua amica che abita proprio di fronte all’ospedale, di cui naturalmente sa tutto. Ci sono anche due uomini alle prese con la loro chemio, nell’unica stanza rimasta disponibile. Il signore accanto a me viene da Messina. Il suo male sta nella pelle e dice che è molto raro ed ha girato un po’ per il continente prima che capissero di che si trattava e approdare qui. Le mie accompagnatrici avide di conversazione cominciano a fargli domande sulla Sicilia: il pesce, la cucina, il pane che lo fanno ancora come una volta, e i vecchi mestieri che resistono e i giovani che non trovano lavoro, e il ponte che non si farà perché i lavori in Sicilia si cominciano ma non si finiscono mai ma i soldi sì.
Entra una suora, forse per dare un po’ di conforto ma dice:
- Che è un salotto? – e poi ci benedice.
Fuori sta facendo scuro e il cielo è gonfio di pioggia.
Quando finalmente vado via è una dottoressa che mi congeda. E’ giovane, carina, con i cappelli biondi tirati dietro e gli occhi chiari. Anche lei un’immagine chiara. Ha l’aria stanca, tirata.
Usciamo. C’è un gattone tigrato a pelo lungo con il petto bianco che presiede al lato della scalinata. L’amica di mia sorella sa tutto anche su di lui. La sua padrona abitava in un palazzo proprio di fronte e quando lei se n’è andata il gatto ha attraversato la strada e ora abita qui. Dina, la mia compagna dell’ultimo ricovero, quando la sera non le andava più il prosciutto lo metteva al fresco sul davanzale della finestra e poi la mattina glielo portava.
Piove ormai a dirotto. Ci salutiamo. Resto con mio marito e ci avviamo alla macchina. Mentre partiamo racconta che ha sorpreso la dottoressa che mi ha dimesso nella veranda che piangeva anche lei a dirotto al telefonino. Allora associo la pioggia che cade dal cielo e scivola sui vetri della macchina alle lacrime e penso che quella almeno laverà i marciapiedi sporchi di questa città.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mia cara, ti faccio i miei complimenti per il bel racconto che hai scritto,così descrittivo e nello stesso tempo, così intenso nell'espressione dei sentimenti, di cui non parli, ma che si intravedono chiaramente al di sotto delle immagini. Lo racconterò alla mia amica; oggi pomeriggio la devo accompagnare alla biblioteca, perchè ha bisogno di alcuni libri di diritto sulle leggi della locazione. Tu continua a scrivere sempre così: è un bel modo di scrivere!
Lilla

Tarlone ha detto...

Molto ben scritto e ricco di significati.
Ho letto abche il commento del Bondo.
Sto cercando di leggere anche gli articoli precedenti, che trovo tutti ineressantissimi.
Tarlone

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