venerdì 2 ottobre 2009

Dumas, che storia è la trilogia dei moschettieri?



Recentemente Abraham Jehoshua ha osservato che la storia s’impara meglio nei romanzi, portando come esempio Guerra e Pace di Tolstoj.

Che dire in merito della trilogia dumasiana, che copre cinquant’anni di storia tra il 1625 e il 1673? In realtà di questa colossale scrittura sono stati sempre posti in rilievo altri aspetti, quali la personificazione del mito dell’avventura da cui la società moderna va estraniandosi (Filippo Burzio) o la capacità d’incidere sul codice immaginativo dei lettori elevando personaggi e situazioni a livello tipico (Umberto Eco). Antonio Gramsci, che si è occupato di Dumas nei suoi scritti sulla letteratura popolare, ne ha sottolineato la funzione d’attivare la fantasia popolare : il romanzo d’appendice sostituisce (e al tempo stesso favorisce) il fantasticare dell’uomo del popolo; come pure la concretezza fiabesca che gli eroi del romanzo d’appendice assumono agli occhi del popolo.
Gramsci classifica per tipi il romanzo popolare e considera quello di Dumas tra lo storico e il sentimentale: gli riconosce un carattere ideologico-politico che però non è spiccato ed è piuttosto pervaso da sentimenti democratici generici e “passivi” e spesso si avvicina al tipo “sentimentale”. Secondo altri invece i contenuti e le istanze ideologico-politiche nel romanzo di Dumas sono lasciati da parte o in secondo piano e la storia è sì il terreno d’elezione ma solo per il puro divertissement (Francesco Perfetti, Introduzione a Il Visconte di Bragelonne, Newton Compton). Secondo quest’ultima interpretazione nel ciclo dei moschettieri vi sarebbe, per di più, una visione – altro che democratica - idealizzata e tutto sommato positiva dell’Ancien Regime.
Con la lettura ancora fresca di Vent’anni dopo proviamo a valutare la qualità della trilogia dei moschettieri proprio come romanzo storico nei suoi aspetti ideologico-politici verificando quanto e che cosa nel romanzo si ricavi sull’Ancien Regime.

L’Ancien Régime
E’ l’organizzazione politica e sociale precedente la Rivoluzione Francese che appunto in Francia, dove questo modello s’era codificato, ne sovvertì l’ordine. Fu restaurato nella sostanza con il Congresso di Vienna nel 1815 fino alle successive rivoluzioni e costituzione degli Stati moderni.
In questo sistema la società è divisa in tre stati più uno, che, dal basso verso l’alto, sono i poveri, il cosiddetto quarto stato, i borghesi, il clero e la nobiltà: è stato osservato che i tre moschettieri, nell’ordine Porthos, Aramis e Athos, rappresentano appunto i tre stati generali.
Assioma fondamentale, cardine di tutto l’Ancien Régime, è che il Re, in cima alla nobiltà, ha per nascita e direttamente da Dio il diritto di governare: per nascita e diritto divino ne ha le doti necessarie, e, a scemare col grado di nobiltà, gli attributi divini di doti intellettuali e morali appartengono anche agli altri nobili.

Sull’argomento ho trovato interessanti alcune pagine di un romanzo di Goethe.

Goethe
Nel romanzo Wilhelm Meister, la vocazione teatrale (1785) il protagonista Guglielmo-Goethe si è accodato ad una compagnia di teatranti, verso cui in quei tempi la considerazione come ceto sociale era minima, incontrata durante un viaggio intrapreso per sistemare alcuni affari commerciali della ditta paterna e con loro ha l’occasione di essere invitato nel castello di un Conte che vuol offrire uno spettacolo teatrale al Principe suo ospite, di passaggio col suo esercito. Per Guglielmo è un momento di verifica, di riflettere sulla sua inclinazione per il teatro e il suo posto nella società:
"Un abisso lo divideva ormai dalla vita borghese di un tempo, un nuovo ceto lo aveva accolto tra i propri adepti quando ancora credeva di essere un estraneo costretto ad aspettare fuori della porta.”.
In particolare, è l'occasione per osservare da vicino la nobiltà, partendo dalla considerazione di quali alte doti i nobili debbano possedere:
Tre volte felici sono coloro che la nascita stessa innalza al di sopra dei gradini inferiori dell’umanità, che non hanno bisogno di affronare situazioni in cui tanta brava gente si dibatte per tutta la vita…
Salute dunque ai grandi di questa terra! Salute a tutti quelli che li possono avvicinare, che possono attingere a questa fonte e godere di questi privilegi! E ancora salute al buon genio dell’amico nostro, che si accinge a guidarlo verso queste vette felici!
Che delusione, che mortificazioni attendono Guglielmo e i suoi amici commedianti! Anche il meno intelligente degli attori noterà l’incompetenza dei signori nel giudicare delle arti e della recitazione. Guglielmo, che presentato al principe gli snocciola l’aneddoto secondo cui Racine sarebbe morto di dolore perché Luigi XIV non lo stimava più, ne sperimenterà di persona sul piano morale, dialogando con uno di questi signori, il capriccio e ancor peggio la freddezza e durezza di cuore.
L’avventura si conclude con ben altre esclamazioni nei confronti della nobiltà rispetto a quelle iniziali:
Non li biasimate per questo; compiangeteli piuttosto!
Con l’elogio, al contrario, di chi non avendo nulla per nascita è capace di dare tutto di sé, in ciò essendoci veramente del divino:
Soltanto a noi poveri che possediamo poco o niente, è dato godere in larga misura le gioie dell’amicizia…Quale felicità, quale godimento per chi dà e per chi riceve, quale sovrumana beatitudine ci garantisce la fedeltà del nostro affetto! Essa dà una divina certezza alla transitoria condizione dell’uomo…
Dumas
Ci sono due episodi significativi in Vent’anni dopo da mettere a confronto. Nel primo Athos nel separarsi dal figlio Raul, quindicenne che va ad arruolarsi nell’esercito del frondista principe di Condé, lo conduce a Saint Denis, a visitare le tombe dei re di Francia e qui gli fa un sermone sulla monarchia:
Raoul sappiate distinguere i re dalla monarchia; il re non è che un uomo, la monarchia è lo spirito di Dio.
Pur distinguendo il margine della responsabilità umana, nelle parole di Athos c’è tutta la concezione gerarchica del mondo nobiliare propria dell’Ancien Regime:
Se questo re è un tiranno, perché l’onnipotenza ha in sé una vertigine che la spinge alla tirannia, servite, amate e rispettate la monarchia, cioè la cosa infallibile, cioè lo spirito di Dio sulla terra, cioè la scintilla celeste per la quale l’umana polvere si fa così grande e così santa che noialtri gentiluomini, anche d’altissima stirpe, siamo poca cosa davanti a questo corpo disteso sull’ultimo gradino di questa scala, come questo stesso corpo davanti al trono del Signore.
Ma non dobbiamo dimenticare che colui che parla partecipa attivamente alla Fronda e del resto Raoul, che risponde che adorerà Dio, rispetterà la monarchia, e cercherà, se muore, di morire per il re, per la monarchia o per Dio, e conclude:
Vi ho compreso bene?”,
farà la prova, poco oltre, di come sia difficile comportarsi secondo questi intendimenti nella vita pratica. Nel secondo episodio, infatti, lo ritroviamo che, richiamato proprio dal grido “In nome del Re”, irrompe in scena e si lancia sulla folla di parigini che vuole opporsi all’arresto del consigliere Broussel. Sopraggiunge D’Artagnan che lo salva dall’essere sopraffatto.
A tafferuglio concluso, rimasti soli, D’Artagnan rimprovera Raoul, per il suo intervento, anche se ha aiutato le guardie del re a compiere l’arresto. Raoul invece sembra fiero di sé, gli sembra di aver fatto il suo dovere, di aver difeso il re.
E chi vi ha detto di difendere il re?
Il tono di D’Artagnan è duro: proprio Athos, il conte di La Fere, andrebbe su tutte le furie se sapesse di questa uscita di Raoul; il giovanotto ha commesso un’enormità, s’è immischiato in cose che non lo riguardano. Ora non è solo che siamo ai tempi della Fronda: è che sotto sotto Dumas sbriciola la monarchia e con essa tutto l’Ancien Régime: perché ci fa vedere spregiudicatamente e d’un tratto come uno squarcio, come il piombare di Raoul sulla scena, che il concetto di tutelare la monarchia non si può tradurre in un’azione chiara e netta per un giovane valoroso e pieno d’ardore, che la monarchia è un ideale vago e inconsistente.

Del resto il giocare con la storia che fa Dumas attraverso i suoi moschettieri è del tutto irriverente verso i potenti, in fondo falsi protagonisti oppure solo protagonisti di facciata: perché le cose potrebbero essere verosimilmente andate come lui ce le descrive e i quattro amici, rappresentanti dei diversi ceti sociali, essero loro il vero motore della storia, sempre in movimento, sempre pronti all’azione: anche loro come i poveri commedianti di Guglielmo-Goethe portatori di valori essenziali, l’amicizia, la lealtà e la fedeltà, che i potenti mostrano in mille occasioni, da Anna d’Austria a Mazzarino, di non sapere dove stanno di casa.

Nei mille intrighi tessuti e disfatti c’è pure una verità storica: come non considerare che la nostra storia attuale, anche quella di questi giorni, ne è purtroppo piena? Solo che nella realtà manca l’arte dello scrittore, la leggerezza e l’eleganza con cui i moschettieri – e ognuno dei compagni mitiga gli eccessi del carattere degli altri- dominano infine le situazioni, a sollevarci dallo squallore e dalla meschinità delle macchinazioni.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

cara Dorrit,
sono stato molto contento nell'aprire il tuo blog e leggere questa seconda puntata sui romanzi dei Dumas. Soprattutto perchè non ero a conoscenza di tutte le informazioni e gli studi che sono stati fatti intorno a questi scritti.Mi hai fatto venire la voglia di aggiornarmi. Però il punto più piacevole è rileggere proprio i romanzi, a cui ero tanto legato durante la mia adolescenza. Forse se non avessi
letto il tuo blog, non l'avrei più fatto. Grazie.

Anonimo ha detto...

Piccola Dorrit,
vorrei dire qualcosa in merito al tuo scritto e al commento che ti è stato posto. E' vero che questi romanzi si riallacciano a verità e fatti storici, ma non mi rendo conto se ciò avviene consapevolmente o se Dumas sceglie un certo peridio storico, perchè lo trova vicino al racconto che egli ha deciso di fare. Inoltre presentano una società ormai "SUPERATA": il vivere e l'agire di qualsiasi uomo in funzione di un solo altro uomo che sovrasta tutti. E' una concezione, per cancellare la quale molti uomini hanno perduto la vita, ribellandosi. Non può più essere accettata.
Da chi ama l'eguaglianza.

Anonimo ha detto...

Carissima "piccola" Dorrit,
dove hai preso tutte queste informazioni? Sembri un'enciclopedia!
Continua così, mi hai fatto conoscere tanti pensieri interessanti, citando scrittori e filosofi.
Lacchera

Anonimo ha detto...

Cara Dorrit,
se posso esprimere il mio parere, per quello che vale, non essendo io un profondo conoscitore della materia, direi che la bellezza di questi romanzi sta soprattutto nell'abilità dello scrittore che ha saputo creare delle opere piacevoli, appassionanti, che tengono col fiato sospeso fino all'ultimo istante e di averle ambientate in un momento storico, che è già affascinante per suo conto.

Anonimo ha detto...

Cara Dorrit sono anch'io un 'appassionata lettrice dei romanzi cappa e spada, anche se non sono più una fanciullina. Mi sento molto vicina ai commenti che fa Francesco Perfetti, quando considera che il momento storico in cui sono ambientati questi romanzi sia una scelta voluta per rendere più piacevoli , divertenti e credibili le azioni dei personaggi. Come si potrebbero rendere altrettanto reali i quattro amici, in altro momento storico, con altri vestiti. Pensa alle loro splendide cappe, che accompagnano volteggiando i loro movimenti, i cappelli piumati che vengono sventolati ad ogni inchino! Una parte del loro fascino nasce proprio da questo abbigliamento.
pp

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