mercoledì 8 ottobre 2008

Alla finestra

Tre grossi palazzi. Tre parallelepipedi, movimentati dalle protuberanze e inserzioni di terrazzi e finestre, presiedono lo spazio di là dal vetro, alla finestra.
Arnie, contenitori di vite umane. Gli spioventi dei tetti, coperti di moderni rivestimenti, atti a blandire l’inserimento di appartamenti nel loro volume, hanno colori, dal grigio ardesia profilato di blu, al verde e al rosso, com’è nel quarto parallelepipedo, che si scorge più indietro in retroguardia, che esibiscono sfumature diverse col variare delle ore del giorno; addolciscono così la presenza tozza e invadente dei parallelepipedi, la loro sfibrante staticità, mostruose sentinelle a questa finestra di terzo piano, che taglia loro i piani inferiori, come agli alberi i loro tronchi, così che le cime rigonfie dei pini sembrano cespugli.
Il cielo, in compenso, la fa da padrone: con la sua leggerezza riesce a dominare la pesantezza delle sagome di cemento, avamposti della giungla cittadina incombente, e la plasticità morbida delle chiome degli alberi, illusione consapevole di giardini perduti. L’immagine è dunque contraddittoria, per questo nonostante tutto affascina, sembra contenere un mistero che sfugge alla presa.
Passano le ore, cambia la luce e nuvole vanno e vengono. Luce e nuvole, materiali impalpabili, o al confine della materia qual è la luce, sono gli attori della rappresentazione sempre diversa che la finestra offre; allora i parallelepipedi da sagome di cemento diventano di cartone. Dalle arnie brulicanti, dal quotidiano che ci tiranneggia, e c’irretisce, con le sue necessità e incombenze sempre uguali, lo stesso che satura la stanza alla cui finestra abbiamo trovato il tempo per sostare, siamo richiamati ad un mondo etero e silente di luce e colori e forme vaghe e continuamente trasformantisi.

Nessun commento:

Etichette