giovedì 7 agosto 2008

Di Barnaby Rudge e del ricordare

Il romanzo è ambientato all’epoca dei disordini anticattolici nella Londra del 1780.
Barnaby è più volte indicato nel romanzo da diversi personaggi come un’idiota. La madre, posta di fronte alla diversità del figlio, ricorda i piccoli stratagemmi escogitati, quando era bambino, per metterlo alla prova, i piccoli segni “non di stupidità, ma di qualcosa di infinitamente peggio, così fantomatici e poco infantili com’erano”; “ le strane immaginazioni che egli aveva; il terrore di certe cose inanimate, oggetti familiari che egli dotava di vita”. In effetti Barnaby sembra vivere in un altro mondo. Appena lo incontriamo ci parla delle stelle come occhi che guardano le cose degli uomini, anche uomini buoni feriti, limitandosi a sfavillare e ad ammiccare tutta la notte. Lo ritroviamo che parla della sua ombra, di come le nostre ombre giochino e si burlino di noi. Barnaby, capace di passare ore davanti al fuoco, “ad osservare le immagini nei carboni ardenti: i fiumi, le colline e le valli nel rosso scuro del tramonto, e visi selvaggi”. Barnaby, dall’alba al tramonto a correre sfrenatamente per le campagne, tuffarsi a riposare nell’erba: “C’erano uccelli da vigilare, pesci, formiche, vermi, lepri e conigli, mentre attraversavano il lontano sentiero nel bosco e così scomparivano: milioni di esseri viventi a cui interessarsi e da osservare rimanendo distesi, e per i quali, quando erano scomparsi, c’era da battere le mani.” Barnaby vive in un mondo animato, come uno spiritello shakespeariano, vive nell’armonia della natura. Amico dei cani vagabondi e di un corvo parlante di nome Grip.
C’è un altro tratto di Barnaby che è essenziale: il suo non ricordare. La madre sfrutta questo carattere del figlio, ormai ventiduenne, per trattenerlo in casa: “i racconti che ella gli ripeteva come un allettamento per tenerlo sempre vicino a sé. Non riusciva a ricordare queste piccole narrazioni – il racconto di ieri era nuovo l’indomani – ma gli piacevano sul momento; e quando ne aveva voglia rimaneva pazientemente in casa, ad ascoltare le storie come un bambino e a lavorare allegro”. Barnaby ricorda solo poche cose essenziali e siccome Barnaby è spesso felice, tendiamo a pensare che alla base del suo essere felice vi sia proprio il suo non ricordare: “Quella sua debolezza di mente che lo rendeva così rapidamente dimentico del passato, salvo in brevi barlumi e lampi, pure, adesso era un conforto. Il mondo per lui era pieno di felicità; per ogni albero, pianta e fiore, per ogni uccello e bestia, per ogni piccolo insetto che un alito di vento estivo facesse cadere a terra, egli era felice.”. Quando Barnaby viene risucchiato nel gorgo dei disordini, e ne diventerà protagonista, di lui è detto rispetto alla moltitudine insorta: “camminava orgoglioso e felice, fiero oltre ogni dire; la sola creatura gioconda e schietta nell’intera riunione.” Questo suo non fermare i ricordi predispone Barnaby a cogliere gli istanti della felicità, gli attimi fuggenti; perfino quando è rinchiuso in prigione Barnaby accede ad un sentimento superiore, grazie ad un raggio di luna che penetra nella cella attraverso l’inferriata: “e sentì la pace entrargli profonda nel cuore. Lui, un povero idiota, chiuso nella piccola cella, era innalzato verso Dio, mentre contemplava la dolce luce, quanto l’uomo più libero e più fortunato in tutta la vasta città; e nella sua preghiera mal ricordata e nel frammento dell’inno infantile che cantò e lo cullò nel sonno, aleggiava uno spirito di verità quale mai fu espresso da omelie studiate con cura, né mai echeggiò sotto gli archi di vecchia cattedrale”. Barnaby, eroe dello spirito popolare!
Attorno a Barnaby, che non ricorda, gira una moltitudine di personaggi che invece non riesce ad uscire dal proprio passato, è ancorata ad eventi trascorsi, scolpiti nella memoria, a cominciare dall’assassino incapace di distaccarsi dal luogo del delitto ma altrettanto incapace a mondarsi della colpa. Il ricordare che genera paura, ansia, rancore e sete di vendetta, tutti sentimenti negativi che impediscono, o rallentano, un’evoluzione positiva e la risoluzione dei conflitti. C’è, dunque, una dimensione negativa del ricordare. Opposta all’elegia e alla poetica creativa del ricordare di proustiana accezione. Un po’ come nel cinema di Sergio Leone, dove i flash back, servono, appunto, ad illuminare questa quarta dimensione: il lato oscuro del ricordare. Un lento movimento che alla fine fa venire a galla non solo i pesi degli altri ma, fardelli più duri, i nostri stessi.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

se ti fa piacere queste cose possiamo inserirle negli articoli del rifugio dei moai, ciao da nero

piccola dorrit ha detto...

Per me non c'è problema. Grazie per l'interessamento.

lampada ha detto...

E' bellissimo quello scrivi su Barnaby Rudge: forse lo scrittore ne voleva fare il simbolo di quello che sarebbe potuto essere l'uomo, se non fosse stato irretito dalle malvagità di coloro che sempre più si allontanano da quello che era lo stato naturale, dove Dio li aveva collocati, per trascinarlo in un mondo alieno, vuoto di ogni valore morale. Egli può difendersi solo dimenticando.
A A A

lampada ha detto...

Sono sempre io, Lampada, vorrei aggiungere qualche altra parola al commento che ho scritto prima: hai citato Proust e il suo "ricordo", ma secondo me,il "non ricordo" di Barnaby è come un ritorno all' età felice, l'età dell'Eden,è un ritorno alla sua vera vita. Per Proustinvece il ricordo è "la richerche" del tempo perduto, come lui stesso lo definisce, per rivivere e ritrovare tutto ciò che era stato il nucleo della sua stessa vita.
A A A

piccola dorrit ha detto...

Per lampada:
Grazie per aver partecipato con i tuoi commenti.

Ho citato Proust proprio come altra cosa; tra l’altro, il ricordare come esaltazione della propria individualità.

In Barnaby, invece, il non-ricordare è la salvezza, la guarigione!

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