mercoledì 21 aprile 2010

Il Pd tra federalismo e riforme

Secondo alcuni, al Pd non resterebbe, per riconquistare l’Italia settentrionale, che diventare più federalista dei federalisti della Lega: un federalismo buono da opporre a quello cattivo. Per riottenere i voti di quelle terre, che costituiscono la parte più produttiva e ricca della nazione, occorrerebbero volti nuovi di dirigenti di un federato Partito Democratico del Nord che, dunque sullo stesso terreno della Lega e sugli stessi argomenti, dicesse cose diverse - per esempio l'abolizione delle province -.
Una posizione in qualche modo speculare a quella sulle riforme il cui tavolo si accetta in linea di principio, però si spingerà verso quelle buone, che servono veramente per modernizzare il Paese; anche se è ormai chiaro, e c’è la bozza Calderoli di mezzo, che al governo interessa soprattutto modificare la Costituzione verso una forma di presidenzialismo.

Leggo sul Corriere online che Giovanni Sartori ha posto dei quesiti sul federalismo ma “La risposta è stata un silenzio tombale.”. Dovrebbe dunque il Pd impegnarsi nell’elaborazione di un federalismo la cui idea piace alla gente che ha votato la Lega ma che la Lega non mostra o non sa o non può realizzare, e che più probabilmente è fumo che si mischia al vapore delle ampolle dell'acqua del Po?

Leggo ancora su L’Unità l’intervento di Alfredo Reichlin, contrario ad un Pd del nord, perché la Lega non è riducibile ad fenomeno “territoriale”, ma:
“È un grande e devastante fenomeno politico costituito dal fatto che è esplosa una contraddizione fondamentale tra i bisogni di “modernità” acuiti dalle sfide concorrenziali del mondo e l’arretratezza e la corruzione dell’apparato statale italiano, a cui si aggiunge il peso del parassitismo meridionale. La Lega è cresciuta, non perché noi non l’abbiamo imitata abbastanza, ma perché non siamo stati capaci di ridefinire un compromesso positivo tra Nord e Sud che guardasse avanti, e cioè nel quadro del mondo europeo e mediterraneo.”
Insomma, l’avanzata al Nord e in Emilia della Lega è effetto dei problemi generali del Paese, cui si deve rispondere, secondo Reichlin, prospettando "un nuovo modello di sviluppo dell’Italia".

Ecco, che quello che istintivamente c’infastidiva, il dover rincorrere la Lega, trova la sua critica razionale, che ancora una volta si basa sulla conoscenza: della posizione geografica e della storia italiana tra Europa e Mediterraneo, dei problemi strutturali che ci portiamo dietro dal 1860, come la contraddizione mai risolta tra Nord e Sud, acuiti oggi dalla sempre maggiore diffusione della criminalità organizzata.
Insomma, un compito molto difficile per l’opposizione, non a rincorrere la Lega, ma in campo aperto trovare idee nuove per difendere i valori comuni sulla cui base riguadagnare terreno.

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