domenica 10 gennaio 2010

Termini Imerese e il gioco delle parti

Nel 1970 i piemontesi sono tornati in Sicilia, dopo oltre un secolo dunque, e questa volta finalmente portando l’industria, quando invece negli anni Cinquanta e Sessanta lo sviluppo del Continente, come i siciliani hanno sempre chiamato la penisola, aveva fatto leva sull’immigrazione della forza lavoro dal sud povero e contadino, e i meridionali riempivano le città industriali del nord e pativano il razzismo racchiuso nella parola terrone, con le sue varianti dialettali, terún, terù in Lombardia, Piemonte e Liguria, tarùn, taroch, terón in Veneto, teròch, tarón in Emilia Romagna.
L’industria era la prima del paese, la Fiat, l’insediamento industriale siciliano aveva il carattere dell’avamposto: Termini Imerese. Ad Occidente delle Madonie, tra Cefalù e Palermo, che dista da Termini una trentina di chilometri, dove la catena montuosa s’interrompe nella valle del fiume Torto e la costa forma un ampio golfo, il Golfo di Termini Imerese.
Qui all’incirca nel 600 a.C. era stata fondata Himera colonia greca, sulla destra del fiume omonimo. Poi distrutta dai cartaginesi che la ricostruirono un po’ più in là, Thermai, sulla sommità di un promontorio in vista del golfo, dove sgorgavano le acque calde, da cui ne derivò il nome, divenuto Termae sotto i romani.
Le acque termali provengono dal monte s.Calogero, magnifico sfondo del golfo, il principale dei massicci isolati che costituiscono i monti di Termini Imerese, da cui discendono fiumi brevi e a carattere torrentizio per la vicinanza al mare, ma di notevole importanza per l’approvvigionamento idrico della Sicilia Settentrionale.

E proprio di fronte al mare, nella parte bassa della zona urbana, dove la strada prese il nome di Lungomare Senatore Giovanni Agnelli, fu costruito lo stabilimento. Per edificarlo ci fu un accordo con la regione siciliana. Si creò la Sicilfiat ma in seguito lo stabilimento divenne di totale proprietà dell’azienda torinese, come gli altri. Vi sono state prodotte la Cinquecento, la Panda e la Punto. Oggi vi si produce la Lancia Ypsilon. I lavoratori sono oscillati nel tempo tra i millecinquecento e i tremila.

La Fiat riceve degli incentivi ma per l’oggi Marchionne precisa che non è un'azienda assistita dallo Stato, in quanto gli incentivi sono stati finanziati dal Lingotto e il credito accumulato dal Gruppo è di circa 800 milioni di euro.
Nel recente incontro di dicembre a Palazzo Chigi, Marchionne ha ribadito quanto preannunciato nei mesi scorsi, che la produzione di automobili a Termini Imerese cesserà a dicembre 2011. Il “delta di costi” nel golfo siciliano è eccessivo: produrre l’automobile nello stabilimento di Termini costa alla Fiat circa mille euro in più che in altri. Lo stabilimento è dunque in perdita e lo svantaggio competitivo non è più accettabile rispetto all’attuale competitività dell’industria automobilistica mondiale.
Per l’occasione il comune di Termini Imerese ha indetto per lo stesso giorno in cui Marchionne parlava a Palazzo Chigi una seduta straordinaria del consiglio comunale a Roma e i romani si sono accorti per il traffico impazzito della presenza dei metalmeccanici di Termini sotto Palazzo Chigi. Il sindaco ha espresso fiducia: “Termini Imerese è già riuscita nel 2002 a far cambiare idea a Fiat, vuole riuscirci una seconda volta”.
La Fiom di Termini Imerese è stata dura con l’amministratore delegato: «Marchionne ha mostrato tutta la sua arroganza, ha usato toni molto gravi su Termini Imerese. Avrà pure salvato la Fiat, ma non si può permettere di mortificare la dignità di tremila persone che hanno contribuito a fare grande questa azienda, che ha avuto tanto dai governi, ma non hanno avuto niente in cambio. La nostra risposta sarà decisa»

In realtà il gioco delle parti in questa vicenda è complesso.
Lo stabilimento di Termini è rimasto solo: l’indotto con le infrastrutture non sono cresciuti, come pure la Fiat aveva richiesto alla regione siciliana e il porto che molto probabilmente era stato tra i motivi per la scelta di Termini non è mai stato potenziato come pure richiesto. Insomma l'avamposto è rimasto tale e il mondo intorno a lui fermo, e non certo per colpa della Fiat. Questo è stato ricordato da Marchionne nei mesi scorsi. Perchè allora la Fiom di Termini Imerese se la prende solo con Marchionne, quando è chiaro che si rientra nella problematica più acuta dell’isola, nel suo non riuscire a creare infrastrutture locali moderne e competitive?
Riconosciuto il dovuto a Marchionne, non è accettabile, perché perdente per il futuro della Sicilia, la sua soluzione di destinare lo stabilimento ad altra produzione che non quella dell’automobile: “Siamo pronti a mettere a disposizione lo stabilimento”.
L'amministratore delegato è disposto fino ad un certo punto a “conciliare costi industriali con responsabilità sociale”. Ha detto:“un puro calcolo economico avrebbe conseguenze dolorose che nessuno vuole ma un'attenzione esclusiva al sociale condurrebbe alla scomparsa dell'azienda”. Seppure non disconosciamo l’importanza dei costi industriali, della competitività aziendale, il caso sociale e storico di Termini Imerese li travalica e questo ritorno dei piemontesi in Sicilia non può finire così miseramente. Lo Stato e la regione Sicilia sono altrettanto responsabili: se la grande industria sparisce dalla Sicilia cosa vi resterà se non la mafia?

Forse la soluzione e nello stesso tempo il simbolo della crisi di Termini Imerese sta nel suo porto. Dal medioevo e sino agli inizi del XIX secolo Termini fu uno dei maggiori centri di raccolta ed imbarco del grano immagazzinato negli spazi del cosiddetto Regio Caricatore o caricatojo e quest’area portuale ne fece di fatto uno dei maggiori porti siciliani per gli scambi commerciali. Il molo vero e proprio fu costruito dopo l’Unità d’Italia. Non è stato più ammodernato dagli anni Ottanta del Novecento ed ha problemi d’interramento.
La sua sistemazione, potrebbe cominciare a far cambiare idea a Marchionne. E’ d’interventi locali come questi che la Sicilia ha bisogno per svilupparsi. Che se ne fanno del ponte sullo stretto a Termini? Quando si potessero già imbarcare le automobili dal porto?
E quante altre Termini, quanti altri problemi locali di strutture da sviluppare, ci sono in Sicilia, molto più economiche e facili da realizzare del ponte?

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me, il problema di Termini Imerese non interessa assolutamente al paese intero, ma solo agli abitanti della Sicilia; per questo non se ne farà niente.

Anonimo ha detto...

La Sicilia non sarà mai un paese industrializzato- Non conviene a molti, specie a quelli che contano.

Anonimo ha detto...

Certo se si pensa che un uomo, Marchionne, e il suo staff, possono decidere della vita di molte persone, nel 2010,sembra veramente assurdo, ma è la realtà

Anonimo ha detto...

Molto interessante e preciso il quadro che dipingi della situazione storica ed ambierntale di Termini Imerese. L'unità d'Italia e la venuta dei piemontesi sembra volersi concludere, stando ai momenti odierni, con un niente di fatto. Come diceva il principe Salina nel Gattopardo:-Bisogna che tutto cambi, perchè tutto rimanga uguale-.

Anonimo ha detto...

Questa di Termini Imerese è come tutte le "buone" cose del nostro paese, non so se anche di altri, in cui si comincia con i migliori propositi e poi si lascia tutto a metà. Sicuramente il potenziamento del porto avrebbe aiutato il consolidamento dell'Azienda Fiat, ma probabilmente non si sono volute spendere altre energie e soldi in questo povero Sud. E la situazione è precipitata. Adesso, per esempio, ci si sta preparando con molto interesse e fondi stanziati, a dare il via alla costruzione del ponte sullo stretto. Non voglio essere una disfattista, ma ho paura che anche questa opera (tra l'altro non gradita a molti) resterà incompleta, solo quel tanto che servirà a mettere qualche pietra a ricordo e memoria di coloro che l'hanno voluta proprio per eternare il loro nome.

Anonimo ha detto...

Cara piccola Dorrit, noi italiani non ci vogliamo mettere in testa che la
Sicilia non può avere un futuro industriale: ci sono troppe forze avverse, sia nazionali, che regionali.

Anonimo ha detto...

Io non sono molto addentro ai giochi del potere e dell'economia, quindi non conosco bene le motivazioni di Marchionne, ma quando lo sento parlare, quasi con tranquillità, come se si fosse ad un tavolo da gioco e si dovessero spostare o sacrificare solo pedine, e non vite umane, mi sento avvilito. Marchionne ha le sue giustificazioni. Forse, allora il governo e la regione siciliana, avrebbero dovuto integrare e rafforzare le infrastrutture attorno alla fabbrica, grande mancanza e superficialità! Malgrado ciò adesso non si può cancellare con un sol colpo di spazzola l'unica rappresentanza della grande industria in questa grande e nobile isola, che si ritroverà a ritornare, solo terra di caporalato e di miseria.

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