mercoledì 15 aprile 2009

la ricerca di significati


Può succedere che mentre facciamo le cose di tutti i giorni, s’incappi in qualche pensiero che potremmo definire, senza per questo essere troppo pretenziosi, dato che non siamo professionisti della materia, filosofico. Ad esempio quando occorre un guasto alla caldaia, o alla lavatrice, o qualche altro imprevisto o accidente, come che so cercare un oggetto che sembrava sparito ed invece avevamo sotto il naso ma non riuscivamo a vedere. Sono contrattempi che una volta risolti ci chiediamo a cosa sono serviti. Allora ci accorgiamo che, quando più all’erta e quando meno, siamo sempre in caccia di un significato da dare alla nostra esistenza, nei diversi attimi che la scandiscono. E però ci sono dei momenti che questa ricerca ci sembra particolarmente vana, siamo sommersi dall’evidenza che la nostra giornata è stata condizionata da un guasto meccanico dell’elettrodomestico e quest’evidenza diviene un paradigma della nostra intera esistenza: che tutto intorno a noi avvenga con meccanica indifferenza, piccole e grandi concatenazioni di eventi legati da un nesso causale, che per l’effetto di estraneità che ci produce non sembra doversi riportare ad una causa prima superiore, divina, che in qualche modo ci veda e ci comprenda.
L’intuizione che si genera da questi contrattempi della vita quotidiana è piuttosto quella di un mondo che va avanti da sé con leggi meccaniche, di cui nel momento dell’intuizione ci sentiamo spettatori ma di cui quando gli eventi più ci coinvolgono siamo anche per forza attori, ma allora come ci muoviamo sulla scena, anche noi soggetti- oggetti - cause ed effetti - di questo mondo meccanico? Come se la nostra visione del mondo si capovolgesse: proprio i contrattempi, gli accidenti, sono espressione e ci fanno riscoprire la causalità necessaria e indipendente dalla nostra volizione, e dal nostro flusso di coscienza con il quale solitamente siamo nel mondo.
La legge che governa il mondo meccanico è stata trovata, una ed universale, la legge della gravitazione. Spiega molto bene il mondo comune, quello dei nostri contrattempi. La scienza normale che ne consegue recita che ogni evento è determinato, cioè prevedibile quando si conoscano i dati del sistema: le coordinate dei punti, le velocità…
Ma avventurandosi l’uomo nei segreti della materia, nell’infinitamente piccolo delle particelle che compongono l’atomo, ha dovuto fare un passo indietro, ammettere una certa indeterminazione, il principio di Heisenberg, appunto. A livello degli elettroni possiamo piuttosto parlare di probabilità che essi si trovino in un certo punto. E così la causalità ha dovuto ridare un po’ di spazio alla casualità. In fondo riconnettersi a quella deviazione casuale degli atomi nei loro urti, prevista nel mondo democriteo. Un po’ di libertà, di quella fortuna che ai nostri occhi, cui sfuggono le cause più remote, e in genere le coordinate di tutti i punti, spesso ci sembra che la faccia da padrona nel mondo.
Non è però tanto la questione della libertà e del volere umano in un mondo meccanico ciò che più ci colpisce di fronte ai nostri contrattempi quotidiani ma è l’assenza apparente di un significato. Ci accorgiamo allora che la ricerca di significato in tutto ciò che facciamo, anche nelle piccole cose, anzi ce ne rendiamo maggiormente conto davanti agli stupidi e insignificanti contrattempi, è per noi fondamentale e costante. Cerchiamo continuamente d’interpretare il mondo, di trovare dei segni nel grande come nel piccolo che ci circonda. Ma se a tratti il mondo ci appare come risultato di banali cause ed effetti, oppure proprio di meri accidenti, che ne è di questa nostra ricerca e da dove ce ne viene l’impulso?

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Dorrit, non ò facile dare una risposta alla domanda che poni a te stessa e ai tuoi lettori. Io penso che istintivamente l'uomo cerca sempre di trovare una giustificazione o più semplicemente un perchè ai fatti materiali e no, che avvengono ogni giorno accanto a lui o con lui come protagonista. Un uomo religioso, che crede profondamente in qualche divinità, direbbe che niente si muove "senza il volere di Dio". Un materialista risponderebbe: "E' il caso!" e chiuderebbe così. Io penso che le due risposte sono egualmente valide ed accettabili, ma in più non dimenticherei di prendere in considerazione l'uomo e le sue azioni,sia quelle inconsapevoli e non avvertite, sia quelle coscienti e volute. Dall'intersecarsi di questi fattori nasce l'agire del mondo, quello che accade intorno a noi, in cui noi siamo contemporaneamente attori e spettatori
pp

Anonimo ha detto...

Cara Piccola Dorrit,
"Iddio creo` l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creo`; tali creo` l'uomo e la donna."
E` da qui che ci viene l'impulso per la nostra ricerca (elementare, vero?). E`quella parte di Dio in noi che trovera` soddisfazione e riposo dopo una ricerca piu` o meno affannosa solo in Dio.
Tutto e` vanita`, illusione ed inutile affanno in questo mondo, ma il tutto acquista significato se il nostro sguardo e` appuntato su Dio e riconosciamo la nostra insufficienza, non solo a seguire il corso delle vicende e dei fenomeni, ma a comprendere la ragione e la natura.
Hai mai letto l'Ecclesiaste?

un lettore ha detto...

Cara Dorrit,
hai posto un bel quesito! Ho letto i due commenti al tuo post. Posso dare ragione a ciascuno dei due. Questa ricerca continua, questo bisogno di sapere, che ci accompagna in ogni nostra azione, è quasi sicuramente un'emanazione del nostro bisogno di Dio, della sua perfezione, che a noi non è stata concessa. In questo siamo tutti " ebrei erranti", che ci muoviamo con le nostre azioni, senza sapere veramente dove andiamo e per quale motivo ci muoviamo, anche se dentro,noi ci sentiamo "perfettamente" convinti di conoscere il fine di queste nostre azioni. Penso che quello che conta è muoversi, andare avanti, superare gli ostacoli che incontriamo, perchè questa è la prova che noi e le nostre azioni significhiamo qualche cosa.
un lettore

Un altro lettore ha detto...

Cara Piccola Dorrio,
vorrei aggiungere un mio piccolo commento a quelli che mi hanno preceduto, ma esso, forse, anzichè chiarire, complicherà ancor più il tuo quesito.
Uno scrittore francese del XVIII sewcolo, Nicolas de Chamfort, famoso per le sue "Massime e pensieri" definisce il caso un "nomignolo della Provvidenza", con uno di quei comodi aforismi fatti apposta per mettere in ombra la scabrosa verità, che il caso gioca una parte importante, se non preponderante, nelle vicende umane. Quest'aforismo è anche giustificabile; infatti a volte, il caso agisce in strani e misteriosi rapporti con la realtà vera, ed è facilmente scambiabile per l'opera di "una Provvidenza" consapevole e mirata.
Un altro lettore

Anonimo ha detto...

Cara Dorrit,
mi permetto confidenzialmente di chimarti così. Ho trovato "gustoso" il quesito da te posto, ma molto difficile. Da quando l'uomo ha cominciato a pensare con la sua testa, se così posso esprimermi, si è sempre scontrato con questo problema, trovandogli infinite soluzioni. Basta pensare a Platone ed al suo sorteggio.Che bella soluzione!
La ricerca dei significati di ciò che ci accade o che accade intorno a noi, secondo me, resterà sempre senza esito. Il destino, il fato, la provvidenza, il caso... sono tutti sinonimi, ma nessuno di essi saprà aiutarti nella ricerca, salvo se in te non ci sia un credo, una fiducia di parte, che ti faccia scegliere un significato piuttosto di un altro.
Un fatalista
Uno che crede nel destino

lampada ha detto...

Mia cara piccola Dorrit,
scusa se ti scrivo con un tono così confidenziale, ma ti leggo ormai da lungo tempo e mi sembra di colloquiare con un' amica (magari sarai un uomo, ma non credo,perchè sento una nota molto femminile nei tuoi blog). Ho seguito con attenzione lo scambio di opinioni, che ha accompagnato quest'ultimo tuo lavoro: probabilmente esso nasce dal fatto che tu trovi spesso argomenti molto diversi tra loro,e mai banali. Trovo che i tuoi scritti hanno sempre qualcosa su cui riflettere. Non aggiungo nessun commento a quelli già presenti, perchè onestamente non saprei proprio che dire di più.
lampada

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