La luce che cade dai globi di lampadari d’epoca che pendono lontani, appesi a soffitti altissimi, è fioca quando arriva a noi e sulle cose esposte. I soldati piemontesi stretti intorno al generale Cialdini a cavallo – bozzetto in gesso – emerge a stento dall’oscurità al centro della sala grande. Non brillano tanto di più le luci che stanno ad illuminare le teche - quando non sono spente. Stanno addossate alle pareti, intorno al monumento per la battaglia di Castelfidardo, quelle con i cimeli dei quattro grandi del Risorgimento, Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele e con la poca luce si ha come l’impressione d’essere in una cripta, in particolare con le maschere mortuarie di Mazzini, dal volto smunto e scavato, e di Cavour, largo e pieno.
Di Garibaldi giubbe, calzoni e sciabole impugnate dall’eroe. Di Leopardi e Manzoni pagine scritte: fa un certo effetto vedere lettere firmate Alessandro Manzoni. Stanno bene questi letterati insieme ai quattro grandi nel pensiero politico e nell’azione.
Poi tanti altri cimeli, collezioni, set di oggetti personali sui quali però l’ombra e la polvere sembrano tessere un velo di dimenticanza e d’incuria. Fa specie che tra le spese per i festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia non si sia pensato di stanziarne per restaurare questo museo del Risorgimento nel cuore della capitale.
Stanno bene Leopardi e Manzoni accanto ai politici e agli uomini d’azione perché la lingua ci ha unito subito quando invece l’unità politica è arrivata così tardi che qualcuno ancora non riesce a comprenderla. E’ stato Dante Alighieri il primo a porre la questione della lingua e ad individuare che in essa era la nostra unione di fronte alla frantumazione politica.
Lingua, letteratura, analisi del testo, analisi logica e parafrasi che dovremmo imparare sui banchi di scuola. Dice l’inno di Mameli:
“Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò.”
Corregge Roberto Benigni:
“Non è l’Italia che è schiava di Roma, è la vittoria.
Umberto, è la vittoria. Umberto, il soggetto è la vittoria”
( dal Festival di Sanremo, rivolgendosi ad Umberto Bossi)
